Virus influenzali e latte crudo: quanto è davvero sicuro consumarlo? Ecco cosa rileva lo studio
“Rischi per persone e animali”. I ricercatori della Stanford University hanno rilevato tracce di Rna nei prodotti non pastorizzati. Ecco perché il virus sopravvive a lungo
Anche il latte crudo potrebbe veicolare l’influenza. È la scoperta choc fatta dai ricercatori della Stanford University che, attraverso i risultati di uno studio, hanno dimostrato che il virus influenzale dell’aviaria può mantenere la sua carica infettiva nel latte crudo refrigerato. Una novità che ribalta l’idea della qualità superiore del latte non pastorizzato, mostrando le insidie nascoste dietro l’idea di alimento naturale. E con il picco di influenza alle porte, la soglia di allarme si alza.
Un primo campanello di allarme era già suonato qualche settimana fa, quando il virus dell’aviaria era stato trovato nel latte non pastorizzato di una famosa azienda californiana. E ora arriva un’altra scoperta: il latte crudo potrebbe aumentare il contagio dell'influenza. I risultati della ricerca - pubblicati sulla rivista scientifica ‘Environmental Science & Technology Letters’ - giungono in un momento in cui le epidemie di aviaria nei bovini da latte hanno sollevato preoccupazioni su una potenziale una nuova pandemia.
“Questo lavoro evidenzia il potenziale rischio di trasmissione dell'influenza aviaria attraverso il consumo di latte crudo e l'importanza della pastorizzazione del latte", ha affermato l'autrice principale dello studio Alexandria Boehm, professoressa di studi ambientali Richard e Rhoda Goldman presso la Stanford Doerr School of Sustainability e la Stanford School of Engineering.
Perchè il virus sopravvive?
A differenza del latte pastorizzato, il latte crudo non viene riscaldato per uccidere patogeni potenzialmente dannosi. Anche se i sostenitori del latte crudo affermano che lascia più nutrienti benefici, enzimi e probiotici rispetto al latte pastorizzato e può migliorare la salute immunitaria e gastrointestinale.
La Food and Drug Administration ha collegato il latte crudo a oltre 200 epidemie di malattie e, insieme ai ‘Centers for Disease Control and Prevention’, avverte che i germi, come l'Escherichia coli e la Salmonella, presenti nel latte crudo presentano rischi seri per la salute, soprattutto per i bambini, gli anziani, le donne incinte e le persone con un sistema immunitario indebolito. I ricercatori hanno esplorato la persistenza di un ceppo di virus influenzale umano nel latte vaccino crudo alle tipiche temperature di refrigerazione.
Cosa ha scoperto la ricerca
Il virus dell’influenza A, denominato H1N1 PR8, è sopravvissuto ed è rimasto infettivo nel latte fino a cinque giorni. “La persistenza del virus influenzale infettivo nel latte crudo per giorni solleva preoccupazioni sui potenziali percorsi di trasmissione”, ha affermato il coautore principale dello studio Mengyang Zhang, uno studioso post-dottorato in ingegneria civile e ambientale.
"Rischi per animali ed esseri umani”
“Il virus potrebbe contaminare le superfici e altri materiali ambientali all'interno delle strutture casearie, ponendo rischi per animali ed esseri umani”, ha aggiunti Zhang. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che l'Rna del virus dell'influenza aviaria - molecole che trasportano informazioni genetiche ma non sono considerate un rischio per la salute - è rimasto rilevabile nel latte crudo per almeno 57 giorni.
Al confronto, la pastorizzazione ha completamente distrutto l'influenza infettiva nel latte e ridotto la quantità di Rna virale di quasi il 90%, ma non ha eliminato completamente l'Rna. Sebbene l'esposizione all'Rna del virus dell'influenza non rappresenti un rischio per la salute, i metodi di test basati sull'Rna sono spesso utilizzati per condurre la sorveglianza ambientale di patogeni come l'influenza. "La persistenza prolungata dell'Rna virale nel latte crudo e pastorizzato ha implicazioni per le valutazioni della sicurezza alimentare e la sorveglianza ambientale, in particolare perché molte delle tecniche utilizzate nella sorveglianza ambientale rilevano l'Rna", ha affermato Alessandro Zulli, altro coautore dello studio, ricercatore post-dottorato in ingegneria civile e ambientale.