Tracce di microplastiche nelle ovaie delle donne che effettuano la Pma
Il monito degli scienziati: "Una conferma di quanto la contaminazione della plastica sia da considerare un'emergenza da affrontare nell'immediato anche per salvaguardare il nostro patrimonio genetico"
La riproduzione medicalmente assistita potrebbe rappresentare una possibilità concreta e immediata per contribuire in parte a contrastare il calo demografico a cui assistiamo nel nostro Paese, che è tra le nazioni che fanno meno figli al mondo. L’Italia registra, infatti, un indice di fecondità (numero di figli per donna in età fertile) di 1,2, rappresentando così il fanalino di coda in Europa. Al netto di questo quadro, già non roseo, si aggiunge un’importante scoperta: per la prima volta, uno studio ha rilevato la presenza di microplastiche nei fluidi follicolari ovarici di donne che si sottopongono a Procreazione Medicalmente Assistita. “Questa scoperta rappresenta una conferma di quanto la contaminazione della plastica sia da considerare un’emergenza da affrontare nell’immediato e che il ritrovamento di microplastiche nel liquido follicolare che è a diretto contatto con i gameti femminili rappresenta di per sé una minaccia significativa all’integrità del nostro patrimonio genetico che viene trasmesso alle future generazioni”, affermano gli autori dello studio. In precedenza, altri lavori hanno rilevato la presenza di microplastiche anche negli spermatozoi, nelle urine e al livello delle arterie.
Padrino della ricerca ‘First evidence of microplastics in human ovarian follicular fluid: an emerging threat to female fertility’, Luigi Montano, UroAndrologo Asl Salerno e past president della Società italiana della riproduzione umana, in collaborazione con Università di Salerno, Federico II di Napoli, Università di Catania, Centro di ricerche Gentile di Gragnano e Centro Hera di Catania. Questo studio, attraverso un approccio metodologico innovativo, non solo ha rilevato la presenza di nano e microplastiche (concentrazione media di 2191 particelle per millilitro), ma anche la dimensione al di sotto di 10 micron (diametro medio di 4.48 micron), evidenziando una correlazione fra la concentrazione di microplastiche e alcuni parametri collegati alla funzione ovarica. “Questo ultimo aspetto, alla luce degli effetti negativi sull’apparato riproduttivo femminile ben documentati in campo sperimentale nel mondo animale, ci preoccupa non poco – commenta Montano – Queste stesse sostanze, infatti, non solo hanno un effetto diretto di danno sulla funzione ovarica attraverso diversi meccanismi, in primis lo stress ossidativo, ma fanno anche da cavallo di troia ad altre sostanze notoriamente tossiche, come metalli pesanti, ftalati, bisfenoli, diossine, policlorobifenili e secondo recenti studi, anche veicolo di virus, batteri e protozoi. Si tratta di sostanze dalle dimensioni pulviscolari, che penetrano in profondità nel nostro organismo e che vengono introdotte nell’organismo con l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo e anche attraverso la pelle con i cosmetici ad esempio”.
Il lavoro dei ricercatori è stato fra i grandi temi protagonisti del 7° Congresso Nazionale della Società Italiana di Riproduzione Umana (SIRU), tenutosi a Bari, che ha riunito i maggiori esperti nazionali e internazionali nel campo della cura dell’infertilità. “L’infertilità in Italia è un problema diffuso che riguarda quasi una coppia fertile su cinque – dichiara Paola Piomboni, Presidente SIRU – e proprio il percorso della coppia infertile sarà al centro del dibattito e del confronto congressuale, con particolare riferimento all’importanza dell’approccio multidisciplinare. A tal fine la SIRU ha recentemente pubblicato le linee guida per il trattamento della coppia infertile su cui potranno essere definiti finalmente i percorsi diagnostici e terapeutici sulla base di evidenze scientifiche (PDTA).”
Altro nodo al centro dei lavori congressuali è stato il rinvio dell’entrata in vigore dei Livelli Essenziali di Assistenza per le cure di riproduzione medicalmente assistita – inizialmente prevista per il 1° gennaio 2024, rimandata al 1° di aprile e ad oggi posticipata ulteriormente al 1° gennaio 2025. Complessivamente, un ritardo pari a un intero anno che provoca, oltre a una grandissima delusione e senso di abbandono, un vero e proprio danno alle coppie in attesa di poter accedere ai percorsi riproduttivi assistiti con i LEA: peggioreranno le patologie che causano l’infertilità delle stesse e aumenterà l’invecchiamento, il principale nemico della fertilità. Molte coppie addirittura si troveranno costrette a rinunciare al proprio progetto di genitorialità. “Considerando che l’età media nelle donne che afferisce ai centri di riproduzione medicalmente assistita in Italia è pari a 36,8 anni, una età molto avanzata quando già per natura la capacità riproduttiva delle donne risulta diminuita – dichiara il Dottor Antonino Guglielmino, socio fondatore della SIRU – rimandare il progetto genitoriale di un altro anno significa ridurre ulteriormente la possibilità di successo dei trattamenti di riproduzione assistita. Ne abbiamo avuto prova durante il periodo della sospensione dell’attività a causa del lockdown, in occasione del quale l’autorità inglese ha calcolato che nelle donne nella fascia di età dai 36 ai 39 anni, il ritardo di 12 mesi ha provocato una diminuzione della capacità riproduttiva in termini percentuali che va dal 12 al 19%, in termini assoluti pari al 3.2 – 3.8%. Ciò significa che una donna di 36-37 anni ha mediamente il 26.6% di probabilità di avere una gravidanza, ma dopo un ritardo di 12 mesi la probabilità scende al 23.4%, con una diminuzione quindi di 3.2 punti percentuali. Tutto questo si tradurrà in migliaia di bambini in meno che nasceranno”.
La mancata entrata in vigore dei LEA peserà maggiormente nelle regioni del sud d’Italia, dove le coppie si ritrovano a sostenere interamente le spese dei trattamenti riproduttivi, mentre in Lombardia, per esempio, i pazienti potranno continuare a sottoporsi ai trattamenti di riproduzione assistita attraverso il sistema sanitario regionale. Permarrà la situazione di estrema disparità tra nord e sud: basti pensare che nelle regioni in cui la possibilità di accesso alla riproduzione assistita senza nessun costo o con il pagamento di un ticket per il paziente si registra oltre il 7% di bambini nati rispetto alla popolazione generale, mentre nelle regioni in cui è a pagamento la percentuale oscilla solo tra l’1,2 e l’1,6%. La media italiana dei bambini nati con la riproduzione assistita risulta quindi pari al 4,2% contro il 12% che si registra in Danimarca, dove non esistono blocchi all’accesso ai trattamenti riproduttivi che vengono considerati una pratica medica come le altre.