Sonno e infarto: dormire bene accelera la guarigione del cuore secondo uno studio Usa
I ricercatori ameriano hanno stuEcco i 5 fattori chiave per favorire un sonno sano
I dispositivi per monitorare il sonno e misurarne ogni minima variazione sono sempre più all’avanguardia, mentre si moltiplicano tutorial, podcast e manuali di istruzioni per migliorarne la qualità e imparare a prendersene cura. Meglio affidarsi alla tecnologia che contare le pecorelle: ecco perché sul mercato si trovano ormai cuscini intelligenti, maschere oculari, device indossabili, anelli ‘smart’ e persino sistemi per regolare la temperatura del letto. Tutti progettati con un solo obiettivo: aiutare le persone a dormire bene.
L’importanza del sonno per la salute del cuore
Gli studiosi, in effetti, non si stancano di ripetere che il sonno è essenziale per il benessere fisico e mentale, per il consolidamento della memoria, per ripulire il cervello dalle ‘tossine’, per regolare il sistema immunitario e di quello endocrino. Non solo: secondo un recente studio - condotto dai ricercatori della Icahn School of Medicine a Mount Sinai, Stati Uniti, e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature - il sonno, oltre a migliorare la salute cardiovascolare, favorirebbe la guarigione dopo un infarto. I ricercatori hanno studiato, infatti, l’interazione tra sonno e recupero cardiaco post-infarto, avvalendosi di test su ratti e su pazienti umani con sindrome coronarica acuta (Sca).
I risultati dello studio
Esperimenti condotti prima sui topi e, successivamente, sugli esseri umani sembrano dimostrare che i monociti – un tipo di globuli bianchi (leucociti) importanti nella governance delle difese immunitarie - siano reclutati attivamente nel cervello dopo un infarto miocardico, per aumentare il sonno. Un meccanismo che sopprimerebbe l’afflusso simpatico al cuore, limitando l’infiammazione cardiaca e promuovendo la guarigione.
Al contrario, nei topi privati del sonno dopo l’infarto, la qualità del recupero si è rivelata peggiore, con un aumento di aritmie e tachicardie ventricolari. Per verificare tali effetti anche sugli esseri umani, i ricercatori hanno seguito 78 pazienti con Sca: chi dormiva bene, nelle settimane successive a un infarto, mostrava un migliore recupero della funzione cardiaca e un rischio minore di nuovi episodi cardiovascolari nei due anni successivi, rispetto a chi dormiva male.
I 5 fattori chiave per favorire un sonno sano
Le ricerche degli ultimi anni hanno anche dimostrato una crescente comprensione del legame tra sonno e longevità. Uno studio, pubblicato su QJM: An International Journal of Medicine, ha analizzato le abitudini di sonno di oltre 172mila adulti negli Stati Uniti, evidenziando che le persone con consuetudini di sonno più salutari hanno un’aspettativa di vita maggiore: 4,7 anni in più per gli uomini e 2,4 anni in più per le donne, rispetto a chi aveva abitudini di sonno meno salutari.
L’indagine, inoltre, ha individuato cinque fattori chiave per definire un sonno sano: 1) dormire tra 7 e 8 ore a notte 2) minime difficoltà nell’addormentamento 3) capacità di ‘mantenimento’ del sonno durante tutta la notte (le interruzioni dovrebbero verificarsi non più di 2 volte a settimana) 4) sensazione di sonno riposante al risveglio (per almeno cinque giorni a settimana) 5) assenza di tranquillanti, sonniferi e altri farmaci specifici per dormire.
Età soggettiva vs età anagrafica
Ulteriori ricerche, pubblicate sulla rivista ‘Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences’, suggeriscono poi come il sonno giochi un ruolo significativo anche nel determinare l’età soggettiva, ovvero come ci sentiamo rispetto alla nostra età anagrafica. Nel primo studio, condotto su un campione di 429 persone, è emerso che ogni giorno in più di sonno insufficiente nell’ultimo mese corrispondeva a un aumento di 0,23 anni nell’età percepita.
Nel secondo, condotto su 186 individui, è emerso che 2 notti di sonno ridotto (4 ore di riposo a notte) facevano sentire i partecipanti in media 4,44 anni più vecchi rispetto a quando dormivano 9 ore. In entrambe le indagini, livelli elevati di sonnolenza erano associati a una sensazione di essere fino a 10 anni più vecchi.
Gli autori delle ricerche hanno concluso che sentirsi più giovani della propria età reale contribuisce alla longevità, perché migliora la salute fisica e incrementa tratti psicologici positivi, come ottimismo, speranza e resilienza, tanto da portare a considerare l’età soggettiva come un possibile marcatore biofisico dell’invecchiamento.