Reumatologia, effetto Covid: meno assiduità nei controlli
Con la pandemia il 62% dei pazienti ha diradato i contatti con lo specialista
La pandemia ha inciso negativamente su cure, monitoraggio e assistenza del numeroso esercito di pazienti cronici. Non fa eccezione, purtroppo, la consistente fetta di persone afflitte da malattie reumatologiche, anche per loro si sono registrati rapporti più complicati, se non inesistenti, tra medico e malato. Problemi nell’accesso alla telemedicina: solo una persona su 10 continua a utilizzarla.
Disagi
In Italia il Coronavirus ha compromesso l’assistenza ordinaria ai pazienti colpiti da malattie reumatologiche. Il 62% infatti non è riuscito a mantenere i contatti con lo specialista durante le fasi più acute della pandemia, nemmeno attraverso la telemedicina. Di questi il 27% dichiara che il medico non sia stato reperibile in quei mesi difficili. Per il 41% l’ospedale non ha messo a disposizione strumenti digitali per la telemedicina. Per otto malati su dieci le nuove tecnologie dovrebbero favorire i contatti non solo con lo specialista di riferimento ma anche con altri professionisti (per esempio il ginecologo, il cardiologo o l’ortopedico). Forti lacune sono evidenziate anche per altri aspetti della gestione della patologia. Sono indicazioni emerse da un sondaggio online svolto su oltre 200 malati da Anmar Onlus (Associazione Nazionale Malati Reumatici) in collaborazione con l’ Osservatorio Capire.
Sondaggio
I risultati dell’indagine sono stati presentati, nei giorni scorsi, in occasione di un webinar realizzato con il supporto incondizionato di UCB. “La lontananza, non solo fisica, di molti pazienti dal proprio specialista – ha sottolineato Silvia Tonolo Presidente Anmar Onlus – può avere determinato problemi di mancata aderenza alla terapia e quindi la continuità di cura. Lo stesso vale per gli esami diagnostici che spesso non sono stati eseguiti. Possono esserci stati dei fenomeni di riacutizzazione delle forme più gravi di artrite o di altre malattie. Da mesi stiamo ricevendo da malati e caregiver questo genere di segnalazioni. In quasi l’intero territorio nazionale il Covid-19 ha interrotto l’assistenza sanitaria reumatologica, soprattutto nell’autunno-inverno del 2020 e in questi ultimi mesi. La digitalizzazione della sanità e il ricorso a tecnologie di telemedicina risultano ancora deficitarie anche a causa di una scarsa conoscenza da parte sia dei malati che dei medici. Le potenzialità di questi mezzi sono evidenti e tuttavia solo l’11% dei pazienti continua ad usarli regolarmente a distanza di due anni dall’inizio della pandemia. E’ evidente che sia necessario non solo un’implementazione della telemedicina ma anche un’opera di alfabetizzazione per renderne più frequente il ricorso”.
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Il sondaggio evidenzia inoltre alcune perplessità circa il nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che prevede lo spostamento dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio. Il 30% degli intervistati si dichiara sfavorevole a questo passaggio e di questi il 48% sostiene di sentirsi meglio seguito in ospedale. Il 19% invece ritiene che i medici del territorio non sia sufficientemente preparati nel gestire patologie spesso complesse.
“Un trasferimento di prestazioni sanitarie dal reparto ospedaliero di reumatologia alla medicina territoriale – commenta Mauro Galeazzi, responsabile scientifico dell’Osservatorio Capire – dovrà comprendere la presenza del medico specialista in reumatologia nelle case della salute, ospedali di comunità, essendo le malattie croniche reumatologiche tra le più diffuse nella popolazione, se si vuole veramente ridurre l’afflusso di malati nelle strutture ospedaliere”. “La rete ospedaliera italiana va riorganizzata e il numero di posti letto dovrebbe essere adeguato anche prevedendo letti dedicati per specialità come la reumatologia – prosegue Roberto Gerli, Presidente della Società Italiana di Reumatologia -. Ciò non esclude però il fatto che ci debba essere una riorganizzazione anche a livello del territorio con una stretta interconnessione tra queste attività ambulatoriali e l’ospedale”.