Parkinson, gli esperti: "Speranze da nuove ricerche e molecole allo studio"

"Sostanziali evidenze sul ruolo della neuroinfiammazione nel meccanismo che porta alla morte delle cellule nervose a livello del sistema dopaminergico"

di Redazione Salus
15 aprile 2024

Speranze da nuove ricerche per la malattia di Parkinson – che rappresenta la neurodegenerazione più comune tra i disturbi del movimento – ma anche “sostanziali evidenze sul ruolo della neuroinfiammazione nel meccanismo che porta alla morte delle cellule nervose a livello del sistema dopaminergico”. A spiegarlo è Stefania Brotini, neurologa presso l’ospedale San Giuseppe di Empoli, a ridosso della Giornata Mondiale del Parkinson che si è celebrata l’11 aprile. “La eziopatogenesi della malattia è ancora ignota. Tuttavia, il meccanismo che ne sta alla base è determinato da un’aumentata vulnerabilità dei neuroni dopaminergici a vari insulti neurotossici, che possono determinare neuroinfiammazione. In questo contesto numerosi dati scientifici sottolineano il ruolo dei fenomeni neuroinfiammatori nella progressione incontrollata di patologie come il Parkinson”.

 

L’esperta è entrata nel dettaglio, circa le nuove scoperte: “La ricerca sulla malattia di Parkinson degli ultimi anni si è dedicata allo studio della patologia neuronale, ma anche di tutte le altre cellule non neuronali, che nel loro insieme prendono il nome di Glia. Tra queste in particolare la microglia e gli astrociti, che rappresentano i protagonisti principali nel processo neuroinfiammatorio. Ciò che è emerso è che, al contrario di quanto credevamo in passato, il processo neuroinfiammatorio insorge prima della degenerazione delle sinapsi neuronali, il che significa che non è la conseguenza come credevamo in passato. Quindi la degenerazione del Parkinson è secondaria alla neuroinfiammazione cronica e non viceversa“.

 

Questa scoperta ha portato allo studio di molecole lipidiche che possono svolgere un ruolo primario essenziale per combattere la neuroinfiammazione cronica. “Fra queste la Palmitoiletanolamideultramicronizzata (PEA-um), una molecola lipidica endogena che agisce da equilibratore cellulare e ha la capacità di essere prodotta ‘on demand’ principalmente dalle cellule non neuronali (mastociti, astrociti e microglia), riesce a contrastare i fenomeni lesivi a carico del sistema nervoso centrale. La PEA endogena contrasta l’insorgenza di fenomeni neuroinfiammatori attraverso il controllo inibitorio delle cellule non neuronali, cioe’ della neuroglia, quando queste risultano iperattive”, ha chiarito Brotini. “Abbiamo studiato la somministrazione esogena di PEA-um, una forma di Palmitoiletanolamide brevettata e utilizzabile dall’organismo (ultra-micronizzata) in un gruppo di pazienti parkinsoniani. I risultati sono stati entusiasmanti: le discinesie si sono notevolmente ridotte e si è verificato anche un incremento della durata dell’effetto della dopamina. In aggiunta alla terapia classica, infatti, la Pea-um può risultare un efficace coadiuvante per ridurre i movimenti involontari o la durata del blocco motorio. Riduce quindi gli effetti collaterali della malattia e della terapia tradizionale e ritarda il decorso della malattia anche in fase avanzata. In sintesi, l’aggiunta di PEA ultra-micronizzata ha dimostrato un miglioramento notevole dei sintomi motori, ma anche di molti sintomi non motori”.

 

La malattia di Parkinson non è comune prima dei 50 anni di età, a meno che non si tratti di forme genetiche. La prevalenza aumenta con l’età. Può manifestarsi con molte varianti cliniche, e di conseguenza con prognosi diverse. “Inoltre, dati della letteratura evidenziano come anche la malattia di Parkinson possa essere talvolta complicata non solamente da fluttuazioni motorie (discinesie o blocchi motori), ma anche da disturbi non motori, tra cui i disturbi dell’attenzione, oppure da declino delle funzioni cognitive. In questi casi le terapie saranno modulate o modificate in relazione al quadro clinico. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico della malattia di Parkinson, abbiamo molti farmaci a disposizione. La terapia con levodopa rappresenta la terapia gold standard, ma nel tempo la risposta potrebbe essere ostacolata dallo sviluppo di fluttuazioni motorie, i cosiddetti ‘fenomeni off’, in cui riemergono i sintomi della malattia. In tal senso, e con meccanismi diversi, ci vengono in aiuto molti altri farmaci, tra cui i Dopaminoagonisti, gli inibitori delle COMT, oltre alla safinamide, rasagilina, rotigotina, apomorfina, duodopa. Tuttavia, abbiamo delle buone aspettative anche da nuovi farmaci sviluppati per la gestione del periodo “OFF”, quali la levodopa inalabile e la formulazione sublinguale dell’apomorfina. E dobbiamo essere anche ottimisti per lo sviluppo di nuove ed ulteriori ricerche”, conclude la neurologa.