Microbiota e legame con Alzheimer, Parkinson e Sla. Prinzi: "Il super organo regola l'asse intestino-cervello"

Il chirurgo addominale parla della correlazione tra malattie neurodegenerative e il nuovo super organo e sfata alcuni falsi miti. "Con statine aumentato rischio di infarti e ictus"

di AGATA FINOCCHIARO
29 dicembre 2024
Malattie neurodegenerative e microbiota

Malattie neurodegenerative e microbiota

C’è un filo conduttore che lega le patologie neurodegenerative, dal morbo di Parkinson alla sclerosi multipla, dalla Sla all'Alzheimer, passando per le malattie autoimmuni. Secondo recenti studi questo filo conduttore è il microbiota, una sorta di super organo che ricopre ogni centimetro del nostro corpo ed è fondamentale per la regolazione dell'asse di comunicazione tra intestino e cervello. Il ruolo chiave del microbiota è emerso negli ultimi anni, portando ad una revisione delle conoscenze scientifiche in merito all’impatto dei batteri intestinali sul cervello, tanto che l’apparato digerente viene ormai definito come "secondo cervello", perché se l'intestino sta male il sistema nervoso ne risente. Non a caso Gabriele Prinzi – specialista in chirurgia addominale, con oltre 270mila follower su Facebook, dove è molto attivo con le sue "pillole di salute" – da anni mette al centro della cura il "cervello-pancia".

Gabriele Prinzi, chirurgo addominale
Gabriele Prinzi, chirurgo addominale

Dott. Prinzi, cosa è il microbiota e perché è così importante per la nostra salute?

"Il microbiota è definito come un nuovo organo, una specie di tessuto che ricopre completamente ogni millimetro quadrato del nostro corpo, sia a livello esterno che interno. Nella letteratura scientifica non c'è patologia che non venga associata a uno squilibrio del microbiota".

Quale è il nesso tra malattie neurodegenerative e microbiota?

"Noi abbiamo un primo cervello, da un punto di vista ancestrale, che è quello dell'intestino. Le cellule intestinali non sono diverse da quelle cerebrali ma hanno una doppia funzione: sono sistema nervoso e al contempo fanno parte del sistema immunitario e ci proteggono dai pericoli del mondo 'esterno'. Poiché la membrana intestinale è permeabile in una certa misura, quando i batteri cattivi si avvicinano troppo e ci aggrediscono, il sistema immunitario si attiva coinvolgendo il sistema nervoso locale e centrale, generando ad esempio un'infiammazione nervosa che a livello intestinale prende il nome di ipersensibilità viscerale. Questa al contempo può generare una ipersensibilità del sistema nervoso. Nei casi di una permeabilità intestinale patologica si può arrivare a situazioni più gravi che riguardano un po' tutte le malattie cerebrali. Quando viene meno la capacità dell'intestino di tenere separati il mondo esterno e il mondo interno, perché cambia il microbiota o perché ci sono dei ‘buchi’ nella membrana, si può arrivare a un'infiammazione del cervello e quindi rileviamo malattie come Parkinson, Alzheimer e Sla collegate con l'alterazione dell’ambiente intestinale".

Quindi anche il Parkinson o la Sla dipendono da un'alterazione del microbiota?

"Sì. Per quanto riguarda il Parkinson, basti pensare che la prima descrizione dei casi di agitazione psicomotoria del dott. Parkison riguardava sei pazienti costipati che, banalmente, non andavano di corpo. La costipazione è una delle chiavi per capire, ad esempio, il modo in cui si formano le placche aterosclerotiche. Non dimentichiamo che le feci sono costituite per il 60% da batteri vivi, e i batteri si duplicano. Se il nostro corpo non è capace di abbattere la loro carica, ecco che loro intraprendono la strada verso l'alto, verso l'intestino tenue, da cui poi raggiungono il digiuno, il duodeno e possono essere 'la causa non vista' che genera malattie gastriche o esofagee o orali. Questa carica di batteri così grande, se nel colon è tenuta sotto controllo per motivi anatomici, quando si muove verso l'alto porta con sé conseguenze inaspettate, una delle quali è proprio la connessione con la sindrome dell'intestino irritabile. E dalla sindrome dell'intestino irritabile alla permeabilità intestinale il passo è breve".

Come funziona in concreto questo passaggio dal "cervello pancia" al sistema nervoso centrale?

"Quando ci arrabbiamo si attiva l'asse dello stress (l'ansia o stress, ndr), che non parte dal cervello ma dall'intestino. In questi casi, cellule del sistema immunitario come mastociti ed eosinofili, 'guardiani' del primo tratto dell'intestino (duodeno e digiuno) registrano qualcosa che non va e attivano una sorta di segnale d'allarme generale che coinvolge direttamente il cervello per il tramite del nervo vago. I mastociti entrano in gioco quando, ad esempio, si gonfia la pancia in pochi minuti in seguito a uno stato di stress. E’ il segno clinico, esterno, che si sono attivati questi globuli bianchi e hanno mandato un segnale al nervo vago, che è costantemente in ascolto sull'intestino, e che a sua volta attiva il sistema d'allarme che gli scienziati chiamano 'combatti o fuggi', in cui il nostro organismo deve reagire prontamente ad un pericolo. In questi casi la priorità del corpo è dare sangue ai muscoli, ai polmoni, al cuore, togliendolo all'intestino. Ecco che quelle situazioni di rabbia, che ci capitano talvolta e sembrano incontrollabili, derivano da un segnale di allarme che l'intestino ha passato al cervello e non il contrario".

Quindi un gonfiore di stomaco può essere causato da un segnale di allarme dell'intestino al cervello e non dalla reazione a un determinato alimento?

"In un certo senso è la stessa cosa. Agli inizi del Novecento il premio Nobel Ivan Pavlov ha scoperto che l'acidità nello stomaco viene prodotta su stimolo del nervo vago, che ordina ai mastociti di produrre l'istamina, ormone che a sua volta fa produrre la gastrina e, in ultima analisi, l'acido. L'istamina è il segnale di allarme che precede il gonfiore addominale e l'acidità".

Quella stessa istamina che appunto gioca un ruolo fondamentale nelle allergie.

"Si. Molte delle patologie che oggi osserviamo e chiamiamo patologie gastrointestinali funzionali, come la dispepsia funzionale o la sindrome dell'intestino irritabile, sempre più spesso vengono associate a 'reazioni avverse al cibo'. Abbiamo superato il vecchio concetto di intolleranze e gli studi sull’intestino irritabile sono stati illuminanti. Oggi più dell’80% dei pazienti affetti sa esattamente qual è il cibo che scatena la crisi: quando mangiamo qualcosa che al nostro corpo non va, la reazione si sviluppa nell'arco di minuti tramite la produzione di istamina, come se fosse un'allergia".

Lei ha grande seguito sui social per le sue "pillole di salute", come mai ha scelto questo canale per affrontare temi così complessi?

"Perché mi consente di rivolgermi a una platea potenzialmente illimitata con un linguaggio accessibile a tutti e di sfatare diversi falsi miti che ancora persistono, come il caso dei rischi del colesterolo alto".

Intende dire che il colesterolo alto non è pericoloso?

"Sicuramente non è così nocivo come finora si è fatto credere, e di sicuro non è il colesterolo totale il valore che dovrebbe allarmarci".

Si spieghi meglio.

"Il colesterolo si forma dai trigliceridi e i trigliceridi si formano dai carboidrati. Purtroppo, ancora oggi, persiste la convinzione secondo cui l'aumento del colesterolo è legato al consumo di grassi, quando invece è l'aumento dei trigliceridi (ad esempio provenienti da frutta o farina raffinata) il modo in cui il nostro corpo, tramite l'attivazione dell’insulina, rielabora lo zucchero di troppo e lo trasforma in depositi di grasso. Questo è il primo errore.

Il secondo mito da sfatare è che la prima causa di placche aterosclerotiche è il colesterolo, mentre invece è l'accumulo di omocisteina. Nel 1967 Kilmer McCully scoprì che l'iniezione di omocisteina nei ratti in quattro settimane provocava le placche aterosclerotiche e per questo è stato licenziato dalla sua università, che invece puntava molto sui fondi statali legati allo studio del colesterolo.

Nel corso degli anni abbiamo visto che le placche aterosclerotiche contengono colesterolo, abbiamo dato consigli alimentari sbagliati, come eliminare i grassi, abbiamo prescritto quintali di statine, il secondo 'farmaco sintomatico' più prescritto al mondo, ma invece della diminuzione di malattie cardiovascolari, infarti e ictus, abbiamo registrato un aumento. Quindi, se guardiamo i dati epidemiologici, c'è qualcosa che non quadra”.

Vuole dire che le statine prescritte per abbassare il colesterolo aumentano, invece che ridurre, il rischio di malattie cardiovascolari?

"E' così, questo ci mostrano i dati epidemiologici se li leggiamo con occhio critico. Pur prescrivendo statine, come da linee guida, e abbassati i livelli totali del colesterolo nel sangue, da un punto di vista epidemiologico c'è stato un peggioramento. E frequentemente, le persone che arrivano in ospedale per infarti o ictus hanno un colesterolo totale inferiore al normale. Questo avviene per tre ordini di ragioni: anzitutto non si può valutare la salute cardiovascolare di un paziente da un solo valore, quello del colesterolo totale.

In secondo luogo abbiamo dimenticato che la causa dell'insulino-resistenza, al di là della dieta squilibrata verso i carboidrati, sono batteri del colon ricoperti dal lipopolisaccaride, la tossina più letale che abbiamo nel corpo. Quando questa è in eccesso, infiamma l'intestino e genera permeabilità al punto da farlo entrare in circolo. In questi casi, a bloccare il lipopolisaccaride per buttarlo fuori sono alcune molecole, tra cui l'HDL e l'LDL. Quindi, a volte, un aumento di colesterolo associato a un'insulinoresistenza potrebbe essere visto come il segno della difesa del nostro corpo rispetto al lipopolisaccaride, piuttosto che una malattia.

Terza e ultima cosa: il colesterolo è un ‘cavallo di Troia’ per l'ingresso del lipopolisaccaride e non la causa delle placche aterosclerotiche. Nel 2018 l'equipe del professor Violi, attuale presidente della Società Italiana di Medicina Interna, scoprì che il lipopolisaccaride di escherichia coli si localizza nella placca aterosclerotica. Questo batterio, spesso causa di cistiti e abitante usuale del colon, è presente soprattutto nelle persone costipate. Quando il batterio si muove lungo l’intestino verso l'alto, può generare quelle condizioni di infiammazione che poi, alla lunga, costituiscono la placca aterosclerotica, mentre noi combattiamo il colesterolo, che invece tenta di buttare fuori l’escherichia coli. Alcuni lavori scientifici dicono che nel momento in cui il colesterolo LDL, quello considerato cattivo, è più basso in assoluto, i pazienti hanno più rischi di ictus".

Aumenta costantemente il numero di persone che soffrono di celiachia, come se lo spiega?

"La platea potrebbe essere più ampia se consideriamo che circa il 30% della popolazione italiana ha la predisposizione genetica alla celiachia, ma solo una percentuale tra lo 0,8% e l'1,5% ha una diagnosi di celiachia. C’è da chiedersi perché alcuni già allo svezzamento, appena entrano in contatto col grano, sviluppano la celiachia, mentre altri, fino a 40-50 anni, non la sviluppano. Se il nostro sistema immunitario è più 'arrabbiato', è più facile avere la celiachia; lo stesso si può dire della barriera che divide noi dal mondo esterno, la membrana intestinale: se la membrana intestinale è solida e funziona, è più difficile prendere la celiachia. Ma la scoperta più importante è che il microbiota ha la capacità di proteggerci dalla celiachia o di renderci predisposti alla celiachia. E' questo il cardine di tutte le patologie in generale, soprattutto per il cosiddetto asse intestino-cervello. E qui torniamo al ruolo fondamentale del microbiota".