La malattia della “nuvola di fumo”, di cosa si tratta e chi è più a rischio?

Al Besta il Moyamoya Day. L’Irccs è il centro di riferimento italiano e segue oltre cento dei circa 250 malati censiti a livello nazionale

di GIULIA BONEZZI
14 dicembre 2024
Anna Bersano; a destra, cervello di una persona affetta da Moyamoya visto ai raggi X

Anna Bersano; a destra, cervello di una persona affetta da Moyamoya visto ai raggi X

Milano, 14 dicembre 2024 –  Si chiama “Moyamoya”, che in giapponese vuol dire “nuvola di fumo”: è l’aspetto che ha, all’angiografia cerebrale ma anche alla risonanza magnetica, una rete di vasi fragili che l’organismo dei malati sviluppa per tentare di superare il problema originario. Che è una stenosi, cioè un restringimento progressivo, delle arterie pre-cerebrali e cerebrali, in particolare le carotidi e le loro diramazioni, fino all’ostruzione. La “nuvola di fumo” è la firma di questa malattia cerebrovascolare cronica e rara la cui conseguenza più grave è provocare ictus ischemici (cioè infarti cerebrali dovuti al mancato apporto di sangue per un’ostruzione dei vasi) o, meno frequentemente, ictus emorragici (per la rottura dei fragili vasi della “nuvola”, o per un aneurisma, una dilatazione anomala della parete arteriosa) in persone anche molto giovani.

La Moyamoya è diffusa soprattutto in Asia: in Giappone l’incidenza arriva a 0,54 casi per centomila abitanti, nei Paesi occidentali è dieci volte meno (tra 0,047 e 0,086 casi per centomila) “ma si ritiene che il numero sia sottostimato. Inoltre in Occidente questa arteriopatia si manifesta con caratteristiche diverse: non si osservano, come in Asia, due picchi di esordio intorno ai 15-16 anni e intorno ai 30, e mentre nei Paesi orientali è stato individuato un gene, Rnf 213, molto frequente sia nei casi familiari che in quelli sporadici, in Occidente non sembra al momento esserci una base genetica”, spiega Anna Bersano, primaria della Neurologia 9 dell’Irccs Besta di Milano.

Che ieri ha organizzato un “Moyamoya Day”: un convegno con altri massimi esperti della malattia al mondo, come il neurologo Dominique Hervé dell’Hôpital Lariboisière di Parigi, Peter Vajkoczy della Charité di Berlino, i neurochirurghi Marco Pavanello del Gaslini di Genova e Francesco Acerbi, ex Besta, oggi all’Ospedale universitario di Pisa.

Il Besta è il centro di riferimento italiano per la Moyamoya, segue oltre cento dei circa 250 malati censiti a livello nazionale, gestisce il registro che documenta tutti i casi e i campioni sui quali fa ricerca “per individuare marcatori biologici e clinici, anche con l’intelligenza artificiale: dal 2019 abbiamo un progetto in collaborazione col Gaslini per la parte pediatrica – spiega la dottoressa –. Siamo riconosciuti come centro europeo e nella rete Vascern lavoriamo alla creazione di registri europei, fondamentali per una malattia rara. Nel 2023, col supporto della European Stroke Organization, abbiamo coordinato la stesura delle linee guida europee per la malattia Moyamoya”. A partire dall’intervento chirurgico di rivascolarizzazione, “con una tecnica combinata, diretta e indiretta”, al quale sono stati sottoposti circa metà dei pazienti, “sia adulti che pediatrici, e ha mostrato di ridurre la frequenza di eventi ischemici ed emorragici”. I neurochirurghi, in sostanza, disegnano nuovi percorsi per garantire il flusso di sangue al cervello: quello che il corpo umano prova a fare da solo con la “nuvola”, ma in maniera efficiente.

“Non sappiamo cosa determini la stenosi progressiva dei vasi, non abbiamo ad oggi un trattamento per farla regredire, ma tra le conseguenze che può provocare, come disturbi del movimento e cognitivi, cefalea, crisi epilettiche, l’ictus è la più severa e la più frequente, dato che colpisce quasi l’80% dei pazienti. Poter ridurre questo rischio in persone giovani, e le sue conseguenze anche dal punto di vista sociale e di sanità pubblica, ha cambiato la storia della cura di questa malattia – chiarisce Bersano – . L’intervento deve essere eseguito in centri specializzati, ma il nostro è anche un lavoro di diffusione di consapevolezza su questa patologia, per migliorare il percorso di diagnosi e il follow-up dei pazienti.