Giornata mondiale dell'Alzheimer, Locatelli: "Coinvolge tutta la famiglia"
Il 21 settembre è l'occasione per riflettere sulla malattia. A che punto è la ricerca di nuovi farmaci e quanti casi ci sono in Italia
Oggi è la Giornata mondiale dell’Alzheimer, un’occasione per riflettere sulla malattia e fare il punto su diagnosi e prevenzione. Tante le iniziative anche in Italia: stasera (alle 20 e fino all’una di domenica 22 settembre) la facciata di Montecitorio si illuminerà di viola, come il colore del “non ti scordar di me”, fiore simbolo della malattia.
“L’Alzheimer non è una semplice patologia che riguarda la persona, è una condizione che coinvolge tutta la famiglia e che spesso quando viene diagnosticata sconvolge e travolge la vita”, sottolinea la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli. “Lentamente – continua – si insinua nelle giornate, tra le abitudini e troppo velocemente cambia i rapporti e modifica le relazioni. Ma l’amore resiste. E ha dato la forza a tante famiglie di unirsi e di parlare della malattia di Alzheimer, della solitudine e dei dispiaceri, ma ha dato anche la possibilità di confrontarsi e di parlarne, di farsi coraggio a vicenda, di unirsi per capire di più, per comprendere meglio sintomi e cure, per sostenere la ricerca. L’amore c’è e ti spinge a sorridere e a lottare anche quando dentro il tuo cuore tutto è sgretolato e incerto”.
I numeri dell’Alzheimer
Si stima che nel mondo siano più di 55 milioni i casi di demenza, la cui forma più comune è la malattia di Alzheimer. In Italia attualmente sono circa due milioni le persone con demenza, disturbo neuro cognitivo maggiore o con una forma di declino cognitivo lieve, di cui il 50-60% affetti da Alzheimer. Circa quattro milioni sono i loro familiari.
“Quella legata alle demenze è una delle più grandi e complesse sfide per i sistemi sanitari mondiali – sottolinea Nicola Vanacore, direttore dell’Osservatorio Demenze dell’Iss -. L’aumento dei casi associato alla storia naturale della malattia, caratterizzata da declino progressivo delle funzioni cognitive, disturbi psico-comportamentali e conseguente progressiva perdita dell’autonomia, obbligano a considerarla una priorità”.
Sperimentazioni e nuove cure
La storia delle sperimentazioni farmacologiche che puntano a una terapia che modifichi il decorso dell’ Alzheimer è lunga oltre trent’anni. Negli ultimi due decenni, enormi sforzi economici hanno permesso di indagare terapie altamente innovative, con l’obiettivo di individuare molecole capaci di modificare la storia naturale della malattia (Disease-Modifying Therapies). Allo stato attuale, tuttavia, nessun farmaco in grado di interferire con la progressione della demenza è disponibile.
Due anticorpi monoclonali diretti contro le diverse forme di aggregati amiloidei sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) per la commercializzazione negli Stati Uniti, uno di questi è stato approvato anche nel Regno Unito. L’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha invece rifiutato l’autorizzazione alla immissione in commercio in Europa dei farmaci in questione.
Le molecole sperimentate, pur presentando capacità di rimozione delle placche amiloidee a livello cerebrale, hanno mostrato una minima efficacia, nelle prime fasi della malattia, nel rallentare il declino cognitivo, con ricadute funzionali scarsamente quantificabili, a fronte della segnalazione di eventi avversi talvolta gravi.
L’obiettivo? Iss: “Rallentare la progressione della malattia”
Il dibattito in sede scientifica, regolatoria e delle Associazioni dei familiari a livello internazionale è acceso, soprattutto in relazione al diverso atteggiamento tenuto dagli Enti regolatori statunitensi e del Regno unito rispetto a quelli europei. “Un ambito di ricerca parallelo – dicono dall’Iss – riguarda poi terapie già in commercio per il trattamento di altre patologie. Questi farmaci, sulla base di una plausibilità biologica, sono sperimentati con lo scopo di testarne la capacità di rallentare la progressione di demenza o di conversione da declino cognitivo lieve o medio a demenza, intervenendo sui principali fattori di rischio noti, come quelli cardiovascolari e metabolici”.