Depressione peripartum, le cause: lo studio del San Raffaele di Milano
Medici e ricercatori hanno esplorato il ruolo delle fluttuazioni ormonali e della genetica. Un ulteriore passo in avanti verso la comprensione di questa patologia di cui si stima che soffrano almeno il 15-20% delle donne che diventano madri
Milano, 16 dicembre 2024 – La ricerca medica non si ferma mai. L’Unità di Psichiatria e Psicobiologia Clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, diretta dal professor Francesco Benedetti, associato di Psichiatria all’Università Vita-Salute San Raffaele (UniSR), ha di recente pubblicato su Biological Psychiatry: Cognitive Neuroscience and Neuroimaging uno studio che riporta alcuni dati preliminari sulla relazione tra la possibilità di sperimentare episodi depressivi peripartum (PPD) e la predisposizione genetica a fluttuazioni ormonali.
Lo studio, coordinato dalla dottoressa Yasmin A. Harrington, ricercatrice dell’Unità Clinica di Psichiatria e Psicobiologia Clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute San Raffaele (UniSR), rappresenta un ulteriore passo in avanti verso la comprensione di questa patologia, ancora poco studiata, di cui si stima che soffrano almeno il 15-20% delle donne che diventano madri.
Lo studio
In questo studio retrospettivo, sono state analizzate 64 pazienti donne con disturbo depressivo maggiore, suddivise in due gruppi: 30 riportavano una storia di depressione peripartum (PPD), cioè di avere sperimentato episodi depressivi intorno alla data del parto; 34 non riportavano una storia di episodi depressivi nel periodo peripartum.
Le partecipanti sono state sottoposte a risonanza magnetica (MRI) per ottenere immagini strutturali del cervello. L’analisi delle immagini ha mostrato che le donne con una storia di PPD presentavano un aumento del volume dei gangli della base, una regione del cervello coinvolta nella regolazione delle emozioni e della motivazione, rispetto alle donne senza una storia di PPD. Il periodo della gravidanza è interessato da notevoli oscillazioni ormonali, come per esempio brusche variazioni nella concentrazione dell’ormone estradiolo, per le quali può esistere anche una predisposizione genetica.
I risultati
“Abbiamo quindi stimato la predisposizione genetica alle fluttuazioni di estradiolo delle donne esaminate e l’abbiamo confrontata con i risultati delle scansioni cerebrali – ha spiegato la dottoressa Yasmin Harrington - Abbiamo in particolare osservato che il rischio calcolato di essere geneticamente predisposte ad avere alte concentrazioni di estradiolo era associato a un maggiore volume dei gangli della base nelle donne con una storia di PPD, mentre nelle donne senza una storia di PPD questo rischio era associato a un volume minore. In altre parole, maggiore era il rischio genetico per alte concentrazioni di estradiolo, maggiore era il volume dei gangli della base misurato, a distanza di anni dal parto, nel gruppo di donne con storia di PPD. Al contrario, maggiore era il rischio genetico per alte concentrazioni di estradiolo, minore era il volume dei gangli della base misurato nelle donne senza storia di PPD” ha continuato la dottoressa.
Trattamenti clinici personalizzati
Questi risultati sembrano suggerire che esistano delle differenze specifiche, mantenute negli anni, tra la biologia alla base della depressione maggiore e quella alla base della PPD. “I risultati – ha spiegato il professor Francesco Benedetti – anche se preliminari e non definitivi, suggeriscono che la risposta neurobiologica agli ormoni sessuali possa variare in base alla predisposizione personale e alla storia clinica delle pazienti”. Un passo in avanti nella comprensione del disturbo depressivo peripartum, a cui dovranno necessariamente seguire ulteriori ricerche perché questi risultati siano traducibili in trattamenti clinici personalizzati.
Il San Raffaele e la depressione
La depressione maggiore interessa circa 280 milioni di persone nel mondo. In Italia, si stima che almeno una persona su cinque sperimenti un episodio depressivo nel corso della vita. Ad oggi circa il 5% della popolazione soffre di depressione maggiore ricorrente, una forma cronica della malattia che può manifestarsi seguendo un andamento stagionale. Negli anni, per comprendere meglio e trattare questa patologia, il San Raffaele ha condotto diversi studi. Oltre alla ricerca di cui sopra, il gruppo del professor Francesco Benedetti sta lavorando ad un progetto di ricerca che, lo scorso maggio, ha portato alla pubblicazione sulla rivista Brain, Behavior, and Immunity di uno studio clinico di efficacia e sicurezza di un trattamento con interleuchina 2. La ricerca ha dimostrato che la somministrazione di basse dosi di questa citochina infiammatoria migliora la risposta dei pazienti ai farmaci antidepressivi già in uso, promuovendo la proliferazione dei linfociti T, una specifica popolazione di cellule immunitarie.
“È stato fatto molto, in termini di conoscenza della patologia, ma c’è ancora molta strada da fare per trovare delle soluzioni applicabili clinicamente in grado di aiutare i pazienti – conclude il professor Benedetti - Chi soffre di depressione non è semplicemente ‘triste’ o ‘svogliato’, ma è afflitto da un indicibile dolore esistenziale, che paralizza la motivazione e il godimento di qualsiasi piacere, influendo negativamente sulla qualità di vita. Questo è particolarmente vero e doloroso per alcune categorie sociali, come per esempio le donne, per le quali è purtroppo ancora diffusa la convinzione che diventare madri debba essere la massima aspirazione e realizzazione. Speriamo che il nostro studio sulla PPD possa aiutare sia il contrasto di questo pregiudizio, sia la comprensione delle basi neurobiologiche della malattia”.