Dall’Insubria di Varese l’ulteriore conferma: l’immunoterapia contro il tumore dei polmoni incrementa il numero di guarigioni
“Un approccio globale consente di combattere sia la neoplasia sia le micrometastasi non visibili con gli strumenti diagnostici tradizionali”, conferma Francesco Grossi ordinario di Oncologia medica all’università varesina. Nel 2024 in Italia ci sono state quasi 45mila nuove diagnosi

Un intervento chirurgico a un paziente affetto da un tumore ai polmoni
Varese, 27 marzo 2025 – Anche nel tumore del polmone in stadio precoce il trattamento con l'immunoterapia può incrementare il numero di guarigioni. Nel 2024 in Italia sono state stimate quasi 45mila nuove diagnosi, che lo rendono la terza neoplasia più frequente dopo quelle della mammella e del colon-retto. "Il carcinoma polmonare non a piccole cellule (Nsclc) è la forma più comune di tumore del polmone e rappresenta circa l'85% dei casi – spiega Francesco Grossi, professore ordinario di oncologia medica all'università degli Studi dell'Insubria di Varese in un’intervista rilasciata all’agenzia Adnkronos –. Alla diagnosi circa il 50-55% dei pazienti presenta una malattia metastatica (stadio IV), il 25-30% localmente avanzata (stadio III) e solo il 20-25% si trova in uno stadio precoce (stadi I-II). Nei pazienti in stadio II-IIIA l'intervento chirurgico rappresenta un'opzione terapeutica cruciale, ma il rischio di recidiva rimane elevato, rendendo necessaria una strategia terapeutica multimodale che includa la terapia neoadiuvante per migliorare gli esiti a lungo termine. Questo approccio consente non solo di colpire il tumore primario, ma anche le micrometastasi non visibili con gli strumenti diagnostici tradizionali, offrendo ai pazienti una maggiore possibilità di guarigione".
Percentuali di successo
Nello studio CheckMate -816, un paziente su quattro ha raggiunto la risposta patologica completa. Non solo. I tassi di sopravvivenza libera da eventi a quattro anni sono risultati maggiori nel braccio con nivolumab e chemioterapia neoadiuvante, per la popolazione ad alto rischio di recidiva, con espressione tumorale di PD-L1≥1% (65%) rispetto alla sola chemioterapia (42%). E il 79% dei pazienti è vivo a quattro anni di distanza. "Lo studio CheckMate -816 – commenta Grossi – ha dimostrato che il trattamento con nivolumab associato a chemioterapia in fase preoperatoria porta a un miglioramento significativo della risposta patologica completa, che implica assenza di tumore nel tessuto resecato, e della sopravvivenza libera da eventi rispetto alla sola chemioterapia.
Il traguardo della sopravvivenza
In particolare, i pazienti trattati con la combinazione hanno mostrato una riduzione della massa tumorale e del rischio di ripresa della malattia e una maggiore probabilità di resezione completa, con un impatto potenzialmente favorevole sulla sopravvivenza globale. Il trattamento neoadiuvante dura solo per 3 cicli, eseguiti ogni 21 giorni, quindi in circa due mesi il paziente può essere operato – chiarisce il docente –. Inoltre, i pazienti trattati con la chemio-immunoterapia neoadiuvante possono essere sottoposti a interventi meno invasivi, con risvolti positivi in termini di qualità di vita".