Alzheimer, il virus dell’herpes potrebbe “contribuire” allo sviluppo della malattia

La connessione tra intestino e cervello potrebbe favorire la circolazione delle infezioni croniche intestinali fino alla materia grigia. Cosa c’entra il citomegalovirus: lo spiega un nuovo studio studio americano

di MARINA SANTIN
21 gennaio 2025
Le infezioni intestinali potrebbero favorire l'insorgenza dell'Alzheimer

Le infezioni intestinali potrebbero favorire l'insorgenza dell'Alzheimer

Un nuovo studio ribadisce l’importante ruolo della connessione tra intestino e cervello per la salute e il benessere (anche mentale) dell’uomo. Le infezioni croniche intestinali sembrano infatti, essere collegate allo sviluppo del morbo di Alzheimer. Una recentissima ricerca, pubblicata su ‘Alzheimer’s and Dementia Journal’, ha evidenziato che un virus estremamente comune può prendere il controllo nell'intestino di alcune persone e successivamente raggiungere il cervello. Ma non solo. Ulteriori indagini hanno anche dimostrato un legame tra una concentrazione elevata di questo virus nelle cellule cerebrali e alcune proteine tau e amiloidi associate al morbo di Alzheimer.

Il virus in questione è il citomegalovirus (HCMV Human Citomegalovirus o herpes virus umano di tipo 5), un virus della famiglia degli Herpesvirus estremamente diffusa a livello globale che una volta contratto rimane latente all’interno dell’organismo per tutta la vita ma può riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario. Nei giorni scorsi, uno studio italiano ha intercettato un gene che si lega al glutammato ed è tra le cause dell’Alzheimer. 

Tutta colpa dell’herpes?

In Italia si stima che circa il 70-80 % della popolazione adulta sia positivo agli anticorpi anti-HCMV, ovvero ha già contratto in passato un’infezione e ha sviluppato un’immunità specifica contro questo tipo di herpes, pur avendo comunque la possibilità di essere nuovamente infettato da un ceppo diverso del virus. E se la nuova infezione colpisce l’intestino, potrebbe potenzialmente raggiungere il cervello.

É quello che sostiene lo studio statunitense, confermando i risultati di altre ricerche che hanno dimostrato che i virus dell'herpes, tra cui l’HCMV, potrebbero essere un fattore di rischio per lo sviluppo del morbo di Alzheimer, anche decenni prima che i loro sintomi si manifestino. "Non abbiamo ancora prove dirette di questo - ha dichiarato Benjamin Readhead, PhD, professore associato presso l'ASU-Banner Centro di Ricerca sulle Malattie Neurodegenerative della Arizona State University e autore dello studio - ma sappiamo che il morbo di Alzheimer ha un corso preclinico pluridecennale. Questo significa che quando qualcuno va dal medico lamentandosi di problemi di memoria, dietro c'è probabilmente un processo lungo almeno 20,30 anni”. Nello studio, il prof. Readhead e un gruppo di ricercatori hanno esaminato campioni di tessuto cerebrale di 101 persone decedute, 66 delle quali avevano ricevuto una diagnosi di morbo di Alzheimer, concentrandosi su una proteina presente sulla superficie delle cellule microgliali, cellule fondamentali nello sviluppo poiché partecipano al modellamento dell’architettura celebrale, ma anche capaci di tutelare le reti neuronali, di riparare le lesioni dei tessuti e responsabili della “sorveglianza immunitaria” del sistema nervoso centrale.

Il ruolo della proteina CD83(+)

Questa proteina, chiamata CD83(+), è un indicatore della presenza dell'HCMV nello strato esterno del cervello e nel nervo vago, che ha un ruolo chiave nel sistema nervoso parasimpatico. Aiuta infatti, a gestire l'umore, la risposta immunitaria e la digestione e collega l'intestino e il cervello, rappresentando, secondo i ricercatori, una sorta di autostrada che permette ai virus, come l’HCMV, di raggiungere il tessuto celebrale. Inoltre, nei pazienti affetti da Alzheimer “la presenza della proteina CD83(+) nel cervello era quasi sempre correlata a quella dell’HCMV nell'intestino”, spiega il prof. Readhead. Ulteriori indagini hanno anche evidenziato che le cellule microgliali producevano CD83(+) solo quando erano esposte a HCMV e non ad altri virus. I ricercatori non si sono fermati a queste evidenze e hanno anche studiato degli organoidi cerebrali, strutture cellulari tridimensionali artificiali generate a partire da cellule staminali simili al cervello umano, infettati con l'HCMV. I risultati del loro esperimento hanno mostrato che il virus potrebbe accelerare la produzione di due proteine amiloidi e tau da parte delle cellule associate al morbo di Alzheimer.

Le conclusioni dello studio

D’obbligo però sottolineare che quanto scoperto da questo nuovo studio, prova solo che lo spostamento del virus HCMV dall'intestino al cervello potrebbe essere legato in qualche modo allo sviluppo del morbo di Alzheimer. Lo stesso prof. Readhead ha infatti, dichiarato: “Non abbiamo stabilito che questa infezione e la produzione della proteina CD83(+) causano la malattia, ma penso sia abbastanza plausibile che questo processo in qualche modo contribuisca al suo insorgere”.