Yoga e tumori, i benefici spiegati dai medici: “Aumenta la sopravvivenza alla malattia”
Esperienze a confronto: dai percorsi integrativi del Prime Center di Cesena al progetto della Breast Unit dell’Ospedale di Latina. Contrasta lo stress della diagnosi, migliora la “fatigue“ e l’insonnia. Lo dimostrano dei recenti studi statunitensi sui pazienti oncologici
“È come lo sbocciare di un fiore nel profondo”. Michela Zaghini, insegnante di yoga al Prime Center di Cesena – il centro multifunzionale dedicato alla prevenzione e alla medicina integrativa, dello Ior-Istituto oncologico romagnolo di Meldola (Fc) – descrive così l’effetto della pratica di questa disciplina sui pazienti oncologici presi in carico dalla struttura. E, in effetti, sono sempre più numerosi gli oncologi che suggeriscono ai pazienti di avvicinarsi allo yoga, per i benefici assicurati dalla pratica a livello sia fisico che di riduzione dello stress correlato alla diagnosi della malattia.
Un recente studio, realizzato dal National Comprehensive Cancer Network (la rete che riunisce i 33 principali centri per la cura del cancro negli Usa), lo conferma: lo yoga contribuisce ad alleviare alcuni tra i sintomi più temuti, da nausea e vomito al dolore, da ansia e insonnia alle disfunzioni sessuali.
I benefici dello yoga
“Lo yoga si prende cura della persona a 360 gradi – argomenta MichelaZaghini –: gli asana (la definizione delle posture in sanscrito) perseguono l’allineamento fisico, a cui corrisponde un allineamento energetico, in grado di liberare energie rimaste bloccate, stagnanti. Al lavoro di asana si affiancano le tecniche di respiro (pranayama) e quelle di meditazione, con le quali si impara a stare nel ‘qui e ora’, a osservare il momento presente. Per potenziarne gli effetti, gli asana sono spesso integrati con i mantra (suoni) e i mudra, ovvero i movimenti delle mani”. Michela Zaghini è al Prime da circa un anno e ha avuto modo di seguire costantemente poco più di una decina di pazienti. «Nell’arco di un solo anno, li trovo tutti profondamente cambiati», riflette l’esperta.
“Il progresso più evidente – continua – è, ovviamente, nella postura: il rilascio delle tensioni e l’allentamento dei freni nel movimento consentono una maggior apertura del petto, dunque un miglioramento della respirazione e ossigenazione dei tessuti. Sono notevolmente migliorati anche l’equilibrio e la “propriocezione (la pacità di percepire il proprio corpo nello spazio)». L’efficacia della pratica di yoga è stata evidenziata, peraltro, da un recente studio coordinato dall’Università di Rochester (Usa) e presentato, la scorsa primavera, al congresso della American society of clinical oncology (Asco). L’affaticamento correlato al cancro (definito ‘fatigue’) – come hanno scoperto gli autori dello studio – spesso si verifica in concomitanza con l’insonnia: entrambi rappresentano effetti avversi invalidanti del cancro e del suo trattamento, che possono persistere mesi o, addirittura, anni dopo il completamento delle terapie. Lo yoga, unito alla terapia cognitivo-comportamentale, «rappresenta un approccio promettente per migliorare la fatigue e l’insonnia”.
Cosa dice lo studio
Lo studio ha considerato un campione di 550 pazienti oncologici, in maggioranza donne (93%) affette da tumore al seno (75%). Il campione è stato diviso in tre gruppi: il primo ha ricevuto lezioni di yoga due volte a settimana; il secondo effettuava sedute di terapia cognitivo-comportamentale una volta a settimana; il terzo era trattato con un placebo. Sia lo yoga e sia la terapia comportamentale, hanno concluso gli autori, comportano una riduzione media del 37%-60% negli indici relativi a ‘fatigue’ e insonnia. I medici, dunque, «dovrebbero prendere in considerazione l’indicazione di yoga e meditazione per chi è stato colpito da cancro e soffre di tali disturbi». In particolare, spiega il presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Franco Perrone, «si è evidenziata una riduzione media del 60% nell’indicatore dell’insonnia e del 40% per la fatigue: sono disturbi assai frequenti nei pazienti oncologici e hanno un impatto rilevante sulla qualità della vita».
Non solo. “La validità di un intervento non farmacologico come la pratica dello yoga è dimostrata dallo studio: è una strategia che può essere messa in atto per migliorare la qualità di vita dei pazientI». «Sopravvivenza più alta dopo l’intrervento al seno». Parola diFabio Ricci, direttore della Breast Unit dell’ospedale ‘Goretti’ di Latina. «La nostra Breast Unit offre alle donne operate di tumore al seno dei Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali all’interno dei quali sono previste delle lezioni di yoga. La disciplina praticata in gruppo consente loro di superare meglio lo stress provocato dalla malattia e di condividere le “debolezze“ individuali trasformandole in forza”.
Non solo. «ll beneficio di una pratica come lo yoga continua Ricci – non è solo in termini di benessere psico-fisico, ma anche in quelli di sopravvivenza alla malattia. È noto che l’aspetto psicologico può influire notevolmente sulla patologia». Proprio la struttura diretta dal senologo Ricci ha avviato – circa un anno fa, in collaborazione con la Asl di Latina – un percorso diagnostico-terapeutico di pratica dello yoga con le pazienti operate di cancro al seno. Due volte alla settimana, insegnanti certificati volontari della Lilt (Lega italiana per la lotta ai tumori), illustrano gratuitamente le posture utili al rilassamento, nonché le tecniche di respirazione e movimento più adatte alle pazienti operate: l’obiettivo è favorire un recupero energetico che sia propizio per un riequilibrio corpo-mente, fino ad arrivare – si sottolinea nel programma – «a una sorta di preghiera per l’armonia universale e il potenziamento psicofisico».
«Circa il 25% delle donne operate nella Breast Unit di Latina ha scelto di mettersi alla prova in questo progetto di terapia integrata e, a distanza di un anno, il 90% delle pazienti si dichiara molto soddisfatto dei risultati ottenuti. Del resto, i benefici della pratica di yoga, per le donne operate di tumore al seno e non solo, sono ormai riconosciuti dalla comunità scientifica a livello mondiale», conclude Ricci.