Un ormone può ridurre i danni dell'infarto

Studio dell’Università di Bologna su blocco dei glucocorticoidi e capacità rigenerativa del cuore

di DONATELLA BARBETTA
18 settembre 2022
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Le malattie cardiache sono tra le principali cause di morte anche per la natura del tessuto di cui è fatto il cuore. Ora uno studio internazionale guidato dall’Università di Bologna mostra risultati promettenti nella riparazione del tessuto cardiaco danneggiato attraverso un ormone.

 

 

Professor Gabriele D’Uva, partiamo dall’inizio. Perché il tessuto del cuore non riesce a rigenerarsi?

 

«A differenza di altri tessuti che si rinnovano e rigenerano costantemente, rimpiazzando le cellule vecchie con cellule nuove, come quelle della pelle o del sangue, il tasso di rinnovamento delle cellule muscolari del cuore è così basso che per lungo tempo si è creduto fosse completamente nullo», risponde il ricercatore del Dipartimento di medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna.

 

 

Invece non è così?

 

«No. Oggi sappiamo che il rinnovamento delle cellule muscolari cardiache umane esiste ed è quantificabile. Si tratta di solo 1% all’anno in età giovanile, si riduce con l’età, ed è stato calcolato che nell’arco di una vita media, circa il 50% delle cellule cardiache permangono dalla nascita. Questo tasso di rinnovamento è insufficiente a garantire una rigenerazione del cuore a seguito di danni severi come quelli derivanti da un infarto miocardico. Pertanto, quando il cuore di un adulto subisce un trauma, il danno è permanente. Al posto delle cellule contrattili muscolari si genererà una cicatrice e ciò può compromettere una riduzione dell’attività di pompa del sangue del cuore».

 

 

Come avete scoperto che un ormone può riparare il cuore colpito da un infarto?

 

«È noto da poco più di 10 anni che il cuore nei mammiferi può in realtà rigenerarsi abbastanza efficientemente a seguito di danni se questi si verificano nel periodo di sviluppo pre-natale o nell’immediato periodo successivo alla nascita. Poco dopo la nascita, le cellule muscolari del cuore maturano ulteriormente per contrarsi più efficacemente al fine di sostenere le funzioni corporee post natali. Come conseguenza del processo di maturazione, le cellule muscolari cardiache perdono la capacità di replicarsi così come la loro capacità di rigenerare l’organo efficacemente. Abbiamo ipotizzato che una classe di ormoni, ovvero i glucocorticoidi, contribuissero alla perdita della capacità rigenerativa del cuore. L’ipotesi è derivata dal fatto che questi ormoni sono noti indurre la maturazione delle cellule del cuore nel periodo immediatamente precedente alla nascita».

 

 

A quali risultati siete arrivati?

 

«Gli esiti delle nostre sperimentazioni, pubblicati recentemente sulla rivista Nature Cardiovascular Research, sono stati netti: la semplice esposizione a questi ormoni si è rivelata sufficiente a bloccare la proliferazione delle cellule muscolari cardiache in fase neonatale. Al contrario, l’inibizione dei glucocorticoidi o del loro recettore capace di rallentarne il processo di maturazione nel periodo successivo alla nascita, mantenendone una più alta capacità proliferativa. Infine, abbiamo osservato che l’inibizione di questi ormoni in seguito a infarto miocardico in modelli animali consente una incrementata capacità delle cellule del muscolo cardiaco a replicarsi, promuovendo in poche settimane un parziale processo di rigenerazione del cuore».

 

 

Quando gli studi passeranno sull’uomo?

 

«La traslazione dei nostri studi preclinici al letto del paziente può essere relativamente lunga, parliamo almeno di alcuni anni. Per velocizzare il percorso sarà fondamentale la collaborazione e il dialogo con la classe medica».