Superare la disabilità surfando tra le onde. “È un messaggio potente, una sfida continua”

Marco Volpi e Matteo Salandri, i due atleti azzurri di para surfing, raccontano la propria esperienza: «In mare tutti possono farcela»

di MARINA SANTIN
18 agosto 2024
armless man wakesurfing on the board down the wave against the background of sky

A “X Masters“, a ricordare che sport e disabilità non sono due mondi distinti, che non ci sono limiti nella vita e che non si è disabili ma diversamente abili, anche due atleti di para surf, due sportivi che sono un esempio e un simbolo di inclusione e integrazione. “Sono diventato paraplegico a 20 anni dopo una laminectomia, un’operazione per la rimozione di un angioma nel canale midollare", spiega Marco Volpi, 39 anni, atleta romano di para surf in carrozzina. Ma surfa lo stesso.

“Ho iniziato questo sport perché avevo bisogno di sfidare un po’ me stesso e un po’ la natura – racconta – ho visto dei video su internet di surf adattato e mio cugino, che fa surf, mi ha messo in contatto con Cristiano Corsi della scuola Ostia surf. Alla mia prima onda mi sono ribaltato completamente al contrario. Però è stato molto divertente», confida, e da allora non ha più smesso perché per lui il surf è «la libertà di poter ritornare in acqua. Prima ho vissuto il mare sempre con molta fatica, sia per la disabilità, sia perché in acqua restavo fermo come un tortellino”.

“Ora c’è la sfida ed è divertentissimo. È uno sport che – prosegue – al di là della parte agonistica, puoi praticare tranquillamente con tutti, anche con i normodotati. Ti fa integrare perchè tutti hanno il tuo stesso problema: dover usare una tavola e aspettare l’onda. Anche se io ho due allenatori», conclude sorridendo. Quest’anno, ha ricevuto la convocazione per il ritiro della nazionale di para surf che «sarà probabilmente a metà settembre e lì spero di guadagnarmi la convocazione per i mondiali». Pratica para surf da cinque anni anche Matteo Salandri, atleta non vedente, vincitore di numerosi titoli internazionali. Nato ipovedente, ha perso progressivamente la vista ma, afferma, «il surf lo possono fare tutti e tutti possono provare”.

Per una persona non vedente o ipovedente surfare è “un gioco di ricettività e di cinestetica dell’ambiente, l’obiettivo non è prendere l’onda, ma surfarne la parete». Non solo. «Il contatto con il mare trasmette energia – continua Matteo – e ti dà una sensazione di benessere anche quando esci dall’acqua. Questa reazione si è vista in maniera tangibile con le persone con autismo. A Ostia c’è un progetto molto bello in cui persone con disabilità cognitiva e autismo surfano. Se è vero che la disabilità non è nella persona ma nell’interazione con l’ambiente, agire sull’ambiente e dire che anche le persone con disabilità possono fare surf, è un messaggio potentissimo”, conclude.