Sindrome da colon irritabile: tutta colpa dei carboidrati? Non proprio, ecco la verità
Cosa si intende per sindrome del colon irritabile e come comportarsi per limitarla: ne soffre circa il 15% della popolazione adulta in Italia.
Costipazione, diarrea, gonfiore e dolori addominali sono soltanto alcuni dei possibili campanelli d’allarme legati alla sindrome da colon irritabile, un disturbo molto comune che interessa circa il 15% della popolazione adulta in Italia. Negli ultimi anni riguardo ai suoi fattori di rischio si è diffusa una teoria che però va ridimensionata, in quanto non proprio corrispondente alla realtà: c’è infatti chi si è convinto che sia correlata a un consumo eccessivo di carboidrati, ma non è esattamente così. È importante fare chiarezza in questo senso, perché comprendere il reale funzionamento di questa patologia renderà più efficaci i metodi per contrastarla.
Cos’è la IBS
Anche chiamata con un acronimo (dall’inglese Irritable Bowel Syndrome) la Sindrome da Colon Irritabile è una patologia che interessa l’ultimo tratto dell’intestino e che è associata a una disfunzione di questa parte dell’organismo umano che si manifesta con un ampio spettro di sintomi piuttosto antipatici. Alla lunga, una condizione simile può minare la qualità della vita dei pazienti che ne soffrono, anche perché causa problemi di natura extra intestinale come ad esempio forti emicranie, fibromialgia, cistiti e molto altro ancora.
Va comunque ricordato che si tratta di una malattia di per sé benigna che non dovrebbe destare particolari preoccupazioni negli individui che ne soffrono.
Il ruolo dei carboidrati
Pane, pasta, riso sono a lungo stati associati alla sindrome da colon irritabile come suoi principali colpevoli. Ma quanto corrisponde al vero una simile credenza? Se è pur certo che molti pazienti con IBS abbiano riscontrato un miglioramento dei sintomi riducendo l’assunzione di certi carboidrati, non si può ridurre la questione a una semplice eliminazione di alimenti ricchi di amido o zucchero. Per avere un quadro più completo è infatti necessario andare ad analizzare quali sono gli specifici tipi di carboidrati che il corpo fatica a immagazzinare nel modo corretto.
Quelli che più creano problemi secondo gli esperti sono conosciuti come FODMAP, un acronimo che sta per Oligosaccaridi, Disaccaridi, Monosaccaridi e Polioli Fermentabili. Si tratta di zuccheri e fibre che, per via della loro struttura chimica, possono essere fermentati dai batteri nell’intestino, causando gonfiore, gas e altri sintomi caratteristici dell’IBS.
La dieta giusta
Ecco dunque che avendo accortezza di quello che viene introdotto nell’apparato gastro intestinale si riuscirà a limitare i danni. Vale da questo punto di vista la pena citare la soluzione proposta da Carrie Dennett, nutrizionista e autrice del libro Healthy For Your Life: A non-diet approach to optimal well-being, che ha cercato di sviluppare una dieta specifica per chi soffre del disturbo.
Questo stile alimentare si basa sulla riduzione di alimenti ad alto contenuto di FODMAP per un periodo di tempo limitato, seguito dalla reintroduzione graduale di alcuni alimenti per individuare quelli che causano maggiori problemi.
Durante la fase di eliminazione, vengono esclusi alimenti come latticini, grano, cipolle, legumi, alcune verdure (come cavoli e cavolfiori), frutta ad alto contenuto di fruttosio e dolcificanti artificiali contenenti polioli. Nella fase successiva, si reintroducono gradualmente questi alimenti per capire quali tipi di FODMAP il paziente tollera meglio e quali invece provocano sintomi.