Neuralink, una speranza per i pazienti affetti da cecità. Musk: “Sarà migliore della visione naturale”
La tecnologia sviluppata dal team di Elon Musk potrebbe cambiare la vita di migliaia di persone con glaucoma e retinite pigmentosa
Glaucoma e retinite pigmentosa sono soltanto due delle possibili cause dietro alla cecità completa, una malattia invalidante al 100% che, se fino a qualche anno fa non lasciava speranze per i pazienti di recuperare la vista, oggi può essere combattuta. A confermarlo sono i risultati eccellenti di alcune sperimentazioni portate a termine da Neuralink, l’azienda fondata da Elon Musk.
“ll dispositivo Blindsight di Neuralink permetterà anche a coloro che hanno perso entrambi gli occhi e il nervo ottico di vedere. A condizione che la corteccia visiva sia intatta – ha spiegato Elon Musk su X – consentirà persino a chi è cieco dalla nascita di vedere per la prima volta. Per gestire correttamente le aspettative, inizialmente la visione sarà a bassa risoluzione, simile alla grafica di un Atari”. E poi alza il tiro: “Con il tempo potrebbe diventare migliore della visione naturale, permettendo di vedere nell’infrarosso, nell’ultravioletto o persino nelle lunghezze d'onda radar, come Geordi La Forge”.
Nuove prospettive
Neuralink è nota per il suo ambizioso progetto di sviluppare impianti cerebrali in grado di connettersi direttamente al sistema nervoso centrale, permettendo potenzialmente di curare o alleviare disturbi neurologici complessi. L’obiettivo di Musk e del suo team è dunque quello di consentire agli esseri umani di superare limiti fisici e cognitivi grazie alla tecnologia. Il dispositivo BlindSight, in particolare, si basa su un microchip che viene impiantato nel cervello e che è in grado di comunicare con i neuroni, interpretando segnali visivi provenienti da una videocamera esterna e trasformandoli in stimoli che il cervello è in grado di interpretare.
Questa tecnologia innovativa non mira a ripristinare l’occhio danneggiato, ma a bypassare completamente il sistema visivo periferico, trasferendo i segnali direttamente alla corteccia visiva. In questo modo, BlindSight potrebbe - potenzialmente, beninteso - aiutare non solo chi ha perso la vista a causa di malattie oculari o degenerative, ma anche chi è nato cieco.
Cosa dicono i medici
Ma quanto ci si può davvero fidare di una simile soluzione? Cambierà davvero la vita a tutti quei soggetti che non riescono più a vedere nulla? Ci sono, in questo senso, notizie positive, per fortuna: basti pensare che il progetto ha già ottenuto un importante riconoscimento dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente statunitense che si occupa di regolamentare i farmaci e i dispositivi medici. L’agenzia USA ha classificato l’impianto di Neuralink come “dispositivo rivoluzionario”, un termine riservato a tecnologie che presentano un potenziale terapeutico significativo per trattare patologie altrimenti difficilmente risolvibili.
Questo riconoscimento non solo sottolinea il valore innovativo di BlindSight, ma potrebbe anche accelerare il processo di approvazione e consentire l’inizio dei primi test clinici su pazienti. Si tratta, tra l’altro, del secondo progetto potenzialmente rivoluzionario di Neuralink dopo Telepathy, progettato per consentire ai pazienti con lesioni al midollo spinale di controllare i computer usando i propri pensieri.
Le sfide
Ma a che punto siamo? Il miliardario sudafricano ha dichiarato che Blindsight, attualmente in fase di test su scimmie, potrebbe in futuro offrire un livello di risoluzione visiva superiore a quello della vista umana naturale. La strada, a ogni modo, potrebbe comunque essere in salita.
Non c’è dubbio che le previsioni siano ottimistiche. L’editorialista Mehul Reuben Das di First Post ha messo in evidenza i dubbi degli esperti rispetto alla fattibilità di restituire la vista a persone cieche dalla nascita: il problema, in questo caso, è che i pazienti potrebbero non aver sviluppato i percorsi biologici necessari per elaborare le informazioni visive. Sono in aggiunta in atto, ormai da decenni, discussioni accese rispetto alle sperimentazioni animali e al loro essere più o meno etiche.