Mielofibrosi: quando il supporto degli specialisti è fondamentale
La storia di Nazzareno: il racconto dell'ex ferroviere, affetto da policitemia vera poi mutata in mielofibrosi
Nell’era di Internet, basta un clic per avere immediatamente tutte le informazioni. Ma quando la ricerca riguarda una particolare patologia o un tema medico, rivolgersi a uno specialista diventa fondamentale per prendere decisioni consapevoli e informate. Testimonianza ne sia la storia di Nazzareno, ex ferroviere, affetto da policitemia vera poi mutata in mielofibrosi. “Un giorno di febbraio del ’97 – racconta – ero seduto alla mia scrivania, intento a lavorare al computer, quando ho avuto un giramento di testa, nausea e ho cominciato a sudare freddo. I colleghi mi hanno immediatamente soccorso, sospettando un calo di zuccheri, ma quando il medico ha letto i risultati delle analisi di medicina del lavoro, che avevo eseguito alcuni giorni prima, mi ha raccomandato di contattare al più presto un ematologo”.
Il racconto di Nazzareno
A fare scattare il campanello d’allarme i valori dell’ematocrito, che esprime la proporzione di globuli rossi nel sangue. Quando è troppo alto il sangue diventa viscoso e scorre con più difficoltà, innalzando il rischio di ictus o di altre problematiche. Dopo ulteriori accertamenti, la diagnosi: policitemia vera, un raro tumore del sangue che provoca un’incontrollata proliferazione dei globuli rossi. “Avevo 38 anni e quando ho letto su internet che cosa fosse quella malattia sono scoppiato a piangere – prosegue Nazzareno – non se ne parlava molto perché poche persone conoscevano la patologia. La scoperta della mutazione nel gene JAK2 ha cambiato il quadro, consentendo di fare diagnosi più precise, ma fino a quarant’anni fa i malati potevano essere colti da ictus, infarto o trombosi senza avere il minimo sospetto che la causa potesse essere una malattia rara come la policitemia vera”.
Per controllare la malattia, fino al 2010, viene sottoposto a trattamenti a base di idrossiurea e salassi, ma proprio in quell’anno la sua situazione ematologica cambia: la milza è aumentata di dimensione e i valori dell’emocromo sono usciti dagli intervalli di normalità. Una nuova biopsia del midollo evidenzia un’evoluzione della malattia, da policitemia vera a mielofibrosi, confermata dai test molecolari per la ricerca della mutazione in JAK2 che risultano positivi. Dopo una terapia a base di interferone, che non ha dato i risultati sperati, Nazzareno si rivolge al professor Alessandro Vannucchi, ematologo di Firenze, uno dei maggiori esperti di mielofibrosi in Italia.
Careggi di Firenze: trial in corso
Al reparto di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze era in corso un trial clinico su ruxolitinib, un farmaco inibitore della Janus chinasi (JAK), poi approvato per la gestione della splenomegalia. Seguito dalla professoressa Paola Guglielmelli, inizia ad assumere il medicinale e, dopo alcuni iniziali difficoltà (principalmente il calo del livello di emoglobina), arrivano i risultati sperati e i valori ematici restano stabilmente nella norma. Almeno fino al 2017 quando l’effetto del ruxolitinib svanisce, la milza si ingrossa nuovamente e il livello del ferro è pericolosamente alto.
I medici provano a inserirlo in un nuovo trial statunitense ma la situazione non cambia. Dopo vari consulti con diversi ematologi – tra cui il professor Francesco Passamonti, del Policlinico di Milano – tutti gli specialisti concordano sulla necessità di un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, una procedura che prevede che il paziente riceva le cellule staminali da un donatore per sostituire le proprie difettose e ripopolare il midollo, consentendo la ripresa dell’emopoiesi.
“Il professor Andrea Bacigalupo, ematologo del Policlinico Universitario Gemelli di Roma, mi disse che senza quella procedura avrei avuto davanti ancora pochi anni di vita – ricorda – ma anche il trapianto non era privo di rischi”. Nazzareno ora ha 60 anni e una lunga storia di malattia, con un midollo osseo pesantemente condizionato dalla mielofibrosi, sia a livello istologico che morfologico. “Ho messo tutti i pro e i contro sui piatti della bilancia – racconta – e alla fine, insieme alla mia famiglia, ho optato per la procedura”.
Il registro nazionale dei donatori
Nazzareno ha perso entrambi i fratelli e i figli sono risultati incompatibili, quindi è stato iscritto nel Registro nazionale dei donatori e, dopo un periodo di attesa, si sono resi disponibili due candidati, che però non avevano una compatibilità perfetta. Il professor Bacigalupo opta per uno dei due, ma sette mesi prima del trapianto a Nazzareno viene asportata la milza. Finalmente, a settembre 2019, viene effettuata con successo la procedura: non ci sono state infezioni e il processo di attecchimento delle nuove cellule è ottimale. Le difficoltà però non sono ancora finite. I controlli successivi mostrano traccia di un residuo di cellule malate, e viene prescritta una terapia a base di interferone che continua ancora oggi. “Le ultime analisi eseguite sono buone e, a parte qualche acciacco dell’età e il laparocele che si è formato in seguito all’operazione di asportazione della milza, sto bene e sono felice di questo”.
Un percorso difficile
Un percorso lungo e difficile i suo, che, come sottolinea Nazzareno, è riuscito ad affrontare grazie al supporto di medici e associazioni. “Quando ho deciso di sottopormi al trapianto di cellule staminali ematopoietiche ero consapevole di che cosa implicasse la procedura. Ho presto capito quanto fosse determinante ottenere informazioni accurate, precise e attendibili, perciò col tempo mi sono avvicinato al Gruppo AIL Pazienti MMP Ph-, ho partecipato agli incontri medico-paziente e coltivato il dialogo con gli specialisti che mi seguivano, perché mi sono reso conto che era il modo più corretto per fare mio un argomento che mi riguardava in prima persona”.
Ad essere coinvolta nella sua esperienza, però, tutta la famiglia, tanto che il figlio minore – che aveva solo tre anni all’epoca in cui aveva ricevuto la prima diagnosi – ha deciso di studiare medicina e di specializzarsi in Ematologia. “Non posso dire che la sua decisione sia dipesa esclusivamente dalle mie condizioni – afferma infatti Nazzareno – ma credo che qualcosa l’abbia spinto. Oggi mi racconta delle terapie a base di cellule CAR-T contro i mielomi e le sue parole di speranza permettono di rileggere la mia esperienza da una prospettiva nuova e incoraggiante. Non dobbiamo mai smettere di sostenere la ricerca scientifica”.