L’ultima frontiera è l’immunoterapia
Riduce i tempi di cura e migliora la qualità della vita dei pazienti oncologici: i dati della ricerca Nadina
Riduce i tempi di cura e migliora la qualità della vita dei pazienti oncologici. L’immunoterapia neoadiuvante, il trattamento che precede l’intervento chirurgico, ha tutte le carte in regola per diventare lo standard di trattamento per molti tipi di tumori. Le possibili implicazioni dell’utilizzo nel melanoma, così come in altri tipi di tumore, sono state discusse in occasione del primo congresso “Innovate – International Neoadjuvant Immunotherapy Across Cancers“ di Napoli. L’efficacia sul melanoma. Gli studi dimostrano che l’immunoterapia neoadiuvante può far terminare l’incubo per il 60% dei pazienti con melanoma metastatico. In questi casi, infatti, l’intervento chirurgico diventa l’ultimo step da superare prima di “ritornare alla normalità“: la terapia post-intervento può essere saltata. Nuove prospettive per altre tipologie di tumore.
«La crescente consapevolezza dell’efficacia dell’immunoterapia in molti casi di tumore avanzato e metastatico ha rapidamente portato allo studio di questo trattamento anche nella malattia in fase iniziale», spiega Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma, oltre che direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli. Negli ultimi anni, infatti, numerosi studi hanno esaminato l’utilizzo dell’immunoterapia neoadiuvante con risultati che promettono di rivoluzionare la pratica clinica. Attualmente, l’immunoterapia neoadiuvante è approvata per il carcinoma mammario triplo negativo e il “carcinoma polmonare non a piccole cellule resecabile“.
Tuttavia, nuovi studi potrebbero presto estendere questa terapia anche ad altri tumori, come il melanoma, il tumore alla vescica, al colon-retto e quello gastroesofageo. Gli studi sul melanoma. «Sono stati però gli studi sul melanoma, il più aggressivo tumore alla pelle, ad aprire la strada all’immunoterapia neoadiuvante», sottolinea Ascierto. La recente pubblicazione dei dati dello studio internazionale Nadina ha sancito ufficialmente l’uso di questa terapia nei casi di melanoma metastatico. Lo studio Nadina ha coinvolto 423 pazienti con melanoma di stadio III operabile, divisi in due gruppi. Nel primo gruppo, i pazienti hanno ricevuto due cicli di immunoterapiaci di tipo “ipilimumab-nivolumab“, seguiti poi dall’intervento chirurgico.
Nel secondo gruppo di studio, i pazienti sono stati sottoposti prima all’intervento chirurgico e poi hanno ricevuto 12 cicli di immunoterapia adiuvante, cioè post-intervento. La ricerca ha mostrato che i pazienti trattati con immunoterapia prima dell’intervento chirurgico avevano una sopravvivenza libera dalla progressione della malattia più lunga. Il cambio di passo nella cura. «Dopo un follow-up mediano di 9,9 mesi – prosegue il primario – la sopravvivenza libera dalla progressione della malattia è stata significativamente più duratura nel gruppo di pazienti che hanno ricevuto l’immunoterapia prima dell’intervento chirurgico con un tasso, a 12 mesi, pari all’84% contro il 57% dei pazienti passati prima sotto al bisturi».
Ma non solo. «Vantaggi sostanziali con l’immunoterapia neo-adiuvante sono stati riscontrati anche sul rischio recidiva – sottolinea – tanto che in 6 pazienti su 10 sottoposti a terapia neoadiuvante, il trattamento post-intervento è diventato superfluo». Risultati importanti per la qualità della vita dei pazienti che presentano anche significativi vantaggi economici per il Servizio Sanitario Nazionale. «Questi dati impongono dunque un cambiamento importante negli attuali standard di cura: l’immunoterapia neoadiuvante presenta un vantaggio significativo che ora non si può più ignorare», conclude Ascierto. Sul melanoma c’è anche la ricerca Pivotal, che ha coinvolto 256 pazienti reclutati in 22 centri clinici in Germania, Italia, Francia e Polonia. In questo, è stato sperimentato il trattamento Daromun, risultato efficace sulle lesioni già prima della chirurgia.