Intelligenza artificiale: opportunità o rischio per la medicina italiana?

Sfide etiche e tecnologiche dell’IA. Ne parla Antonio Iavarone, cervello italiano al centro oncologico di Miami: ecco come l'Italia può evitare di restare indietro

di PATRIZIA TOSSI
1 febbraio 2025
Intelligenza artificiale: rischi o opportunità?

Intelligenza artificiale: rischi o opportunità?

Intelligenza artificiale, la rivoluzione entra in campo anche nella medicina. Dall’avatar che ‘opera’ col chirurgo in sala operatoria all’algoritmo che prevede le cadute dei malati di Parkinson o i gemelli digitali per monitorare cure e diagnosi, l’uso della tecnologia per la salute dei pazienti fa ancora paura.

“Possiamo restare utilizzatori passivi di algoritmi sviluppati da altri o diventare componenti attivi della realizzazione di una promessa”, rassicura Antonio Iavarone, cervello italiano in forze negli Usa. Il vicedirettore del centro oncologico di Miami, polo di eccellenza nel Sud della Florida, mette in guardia sul rischio di non investire sullo sviluppo di questa opportunità.

La circolazione dei cervelli, sottolinea il medico e ricercatore, è “fondamentale: l’IA, più di qualunque altro settore, richiede competenze multidisciplinari. E quando scienziati che parlano linguaggi diversi cominciano a capirsi si possono fare cose fantastiche insieme".  

Perché non bisogna avere paura dell’IA

“Nell'intelligenza artificiale, come in qualunque campo della ricerca più innovativa - ha spiegato Antonio Iavarone intervenendo sul tema dell’IA all'Università Giustino Fortunato di Benevento - i medici e gli scienziati sono i protagonisti. Sono loro che dirigono l'uso di qualunque sistema computazionale. L'Ai non è nient'altro che l'uso di macchine e computer per effettuare funzioni che normalmente vengono fatte dagli esseri umani, come l'interpretazione razionale dei dati, la capacità di capire pattern e fare, per esempio in medicina, diagnosi accurate”.

“Queste informazioni - continua l’esperto - devono essere inserite da tecnici e medici, per migliorare sempre di più questi sistemi. E come comunità noi dobbiamo solo capire se vogliamo essere 'users', utilizzatori passivi di algoritmi sviluppati da altri, o se invece vogliamo essere componenti attivi che contribuiscono a quella che oggi è una delle maggiori promesse in molti settori, e in medicina per il miglioramento della diagnosi e sempre di più anche della cura".

Riflettere sulle questioni etiche

“La riflessione riguarda anche le questioni etiche”, ragiona il full professor dell'università di Miami in Florida e vicedirettore del Sylvester Comprehensive Cancer Center. “Parlando di ciò che succede in Italia relativamente allo sviluppo di algoritmi in Cina” (il garante della privacy ha bloccato l'Ia cinese DeepSeek, ndr) - ricorda - va detto che alla Cina non importa molto quello che fa l'italia. In questo momento sta facendo qualcosa che punta a una rivoluzione, allo sviluppo di innovazione”.

“Per i ‘large language model’ (Llm), e in medicina per la capacità di comprendere i dati clinici e di fornirci poi delle attenzioni su caratteristiche fondamentali dei pazienti, oggi le strutture cinesi stanno competendo in maniera molto efficace con quello che si fa negli Usa. E penso che l'atteggiamento di un Paese serio non sia quello di chiudere, ma di fare meglio”, dice Iavarone.

"Investire sull’uso corretto dei sistemi”

“L'amministrazione Trump ha deciso di investire con Elon Musk in maniera massiva proprio sull'IA. Perché il problema che l'Intelligenza artificiale pone è che è necessario utilizzare computer, sistemi computazionali di enorme potenza. Questo l'Italia non ce l'ha e non l'ha mai considerato come una priorità. Come per altre condizioni importanti, la capacità di investire nell'IA significa essere protagonisti per l'uso corretto di questi sistemi. Il punto è di non essere noi quelli che devono subire passivamente quello che altri faranno".

L'Italia, incalza lo scienziato, rischia “un ruolo marginale in tutto questo. Nella parte di sviluppo computazionale di algoritmi, gli scienziati validi si contano sulle dita di una mano, sono persone che stanno più all'estero che in Italia” e, al momento, “non c'è dubbio che ancora una volta l'Italia non ha voluto investire seriamente per attrarre i migliori scienziati del mondo neanche su questo”.