“Mi dicevano che non sarei mai diventata mamma”. La storia a lieto fine di una donna con l’endometriosi
Nella Giornata Mondiale dell'Endometriosi, pubblichiamo la lettera inviata a QNSALUS da Vittoria, una lettrice 42enne che ci racconta il suo viaggio alla ricerca di una gravidanza

Diventare mamma con l'endometriosi è possibile
Pubblichiamo una lettera inviata a QNSALUS da una nostra lettrice che, in occasione della Giornata Mondiale dell'Endometriosi, ci racconta la personale esperienza e quella delle sue ‘compagne di viaggio’ alla ricerca di una gravidanza, nonostante la diagnosi e le percentuali di infertilità che accompagnano questa patologia.
Vittoria (il nome è di fantasia, la lettrice ci ha chiesto di mantenere l'anonimato) è una 42enne lombarda che, dopo la diagnosi di endometriosi arriva come una doccia fredda intorno ai trent'anni, ha affrontato il percorso della procreazione medicalmente assistita appoggiandosi al sistema sanitario nazionale.
È un messaggio non soltanto di speranza per moltissime donne che soffrono di endometriosi, ma anche una riflessione sull'importanza della tenuta del Ssn, delle cure gratuite per le donne – visto che in Italia continuano i "viaggi della speranza" al Nord – e dei progressi della scienza. E oggi Vittoria può dire: “L’endometriosi non è una condanna di infertilità”.
“Ho l'endometriosi, ma sono stata fortunata”
"Sono stata fortunata, non di certo per quella retorica che vorrebbe suggerire una consapevolezza maggiore attraverso le insidie della malattia, non la sposo. Sono stata fortunata per dei motivi precisi, seppur avrei fatto volentieri a meno della mia diagnosi di endometriosi. Scrivo questa lettera affrontando un tema specifico: il nodo della potenziale infertilità che questa patologia può comportare. E la scrivo perché, anche se tutti sappiamo che non bisogna cercare in Google ma rivolgersi ai medici (sacrosanto sia chiaro), quando, specialmente di notte, capita di andare a letto, i pensieri arrivano. Si rimugina sulle statistiche: 30-50% di problemi di fertilità. E si cede allo smartphone, fra forum e "no, questo invece lo dice un ospedale serio". Ce la farò con la mia endometriosi ad avere un figlio? Sarò nel 50% giusto, quello fortunato?
Ovviamente la bellissima bugia del "ce la farai" non la posso vendere a nessuno. Ma posso condividere dei fatti, accaduti a me. Sapendo che, quando in quei panni c'ero io, non volevo bugie, ma ragionevoli speranze basate su evidenze scientifiche".
Diagnosi precoce: non sottovalutare i segnali
"La mia prima fortuna è stata la diagnosi. Che, in realtà, è stata anche la mia prima colpa. Non ascoltate quelle considerazioni da Alto Medioevo: ‘Il ciclo ce l'hanno tutte, se stai così male è perché non sai sopportare il dolore’. No, non funziona così, adesso si sa. Non rimandate. Questa è la chiave per gestire al meglio le conseguenze e l'impatto che l'endometriosi ha sul tuo corpo. Quindi, se stai male, fregatene. Chiedi un esame in più. Sarà il medico a dirti se è tutto ok.
Avere una diagnosi di endometriosi, oggi, seppur complicato è più facile, grazie a progressi scientifici e tecnologici. Io l'ho ricevuta subito, non appena mi sono attivata per comprendere le cause dei miei dolori intensi. Avevo 31 anni.
Mi ricordo che il mio medico curante mi ha detto: ‘Endometriosi può voler dire poco o tantissimo’. E aveva ragione. Dipende dal quadro della paziente. Questo lo vorrei ripetere a chiunque, oltre quella retorica tragica e opprimente che spopola negli ultimi anni: quando arriva la diagnosi non significa che la tua vita dovrà essere un inferno. Dipende da molti fattori, in primis dalle cure e da come l'organismo risponderà. La mia cura è farmacologica, nessun intervento. Funziona. Da dieci anni. Sto bene. Sono consapevole, come dicevo, di essere fortunata: la cura può non funzionare, può volerci tempo per trovare quella corretta, la malattia potrebbe essere particolarmente aggressiva. Le casistiche sono tante. Però affrontabili, a patto di mettersi in mano agli specialisti. C'è chi soffre molto più, in quel caso vorrei ricordare, una volta di più, che queste persone vanno comprese, rispettate e non stigmatizzate”.
Procreazione medicalmente assistita: troppi viaggi della speranza
"Veniamo al tema gravidanza: ero il perfetto esempio di cavallo zoppo. Fino ai 37 anni non ho sentito il desiderio di avere figli, consapevole, se avessi cambiato idea, che con l'endometriosi sarebbe stato ben più difficile. La combinazione età materna avanzata ed endometriosi, infatti, abbassa sensibilmente le possibilità di successo. Scelta personale: resto convinta che figli non si facciano perché "sta per scadere il tempo", si fanno se li vuoi. E io non lo desideravo. Quando, a 37 anni, ho iniziato a desiderarli, sapevo che le mie decisioni passate avevano reso molto esigua la possibilità di successo. Ho scelto, in accordo con la mia ginecologa ed il mio compagno, di provarci comunque. Ma in sicurezza.
Nel mio caso l'unica soluzione possibile era la procreazione medicalmente assistita. E qui è arrivato l'altro colpo di fortuna. Fortuna geografica. Crudele quanto reale. Vivo in Lombardia, una delle regioni - l'ho scoperto durante il percorso - prese letteralmente d'assalto da cittadine del Sud, in cui mancano strutture adeguate a sostenere le richieste. Perché il tempo - te lo ricorda l'orologio biologico, ma anche le liste d'attesa - è tiranno in questi casi. Durante il ciclo di trattamento - che dura poche settimane per ogni tentativo - bisogna essere monitorate mediante diversi esami, in modo da poter agire nel giorno più opportuno con il prelievo degli ovuli e, successivamente, come nel mio caso, con il transfer. Io potevo recarmi la mattina presto in ospedale e poi andare a lavorare, perché la clinica - eccellenza pubblica, che ha erogato il servizio gratuitamente - era a 10 km da casa mia.
Cosa significa provarci
E proprio durante il rito mattutino dei controlli, col numerino per il prelievo del sangue, sentivo tantissimi accenti del Sud. Tutte giovani donne al primo, secondo, terzo tentativo. Li chiamavano "gironi". "In quale girone sei?" "Al quinto". Tradotto: per cinque volte, una ragazza, dal Sud, aveva prenotato un albergo e messo in pausa il lavoro; era salita sul treno con il suo carico di speranze (e ancor più ansia) e aveva raggiunto Milano. Spesso da sola - che quando sei bombardata dagli ormoni e devi farti le punture nella pancia ogni sera - non è mica così facile eh. La stimolazione ovarica può essere insidiosa per le pazienti affette da endometriosi. Alessandra, che incontravo tutte le mattine per il prelievo del sangue, mia coetanea, con endometriosi più grave rispetto alla mia, durante la stimolazione ha avuto dei problemi, si è reso necessario interrompere il trattamento. Ci provava da otto anni. Tre settimane in cui, ogni mattina, vedevamo le stesse facce in attesa dei monitoraggi e tutte, per forza di cose, pensavamo: "Chissà, statisticamente, chi di noi ce la farà". Perché lo sai, l'hai letto, che è una questione statistica. E da quella, non si scappa. L'altruismo naturale, inutile dirlo, cede il posto all'egoismo istintivo. C'erano donne con endometriosi, ma non solo. Ho scoperto le patologie più svariate e anche, non ci avevo mai pensato, nessuna patologia. Semplicemente i figli non arrivano”.
Tutto merito del progresso scientifico
“Mio figlio è arrivato. Sorprendentemente al primo tentativo. Una fortuna talmente sfacciata che mi vergogno quasi a raccontarla rispetto ai calvari che ho intercettato. A settembre ho iniziato il trattamento, a fine ottobre gli esami del sangue confermavano che fossi incinta. E forse quella che chiamo fortuna, dovrei chiamarla sistema sanitario che ha funzionato, progresso scientifico.
Sono stata ben curata negli anni precedenti, ciò ha consentito al mio organismo di preservarsi al meglio, nonostante la patologia. Ho ricevuto una diagnosi rapida e sono stata presa in carico da un sistema sanitario che mi ha consentito di tentare, nonostante sulla carta, come dicevamo, fossi statisticamente meno "vincente" rispetto ad altre casistiche. Perché questi trattamenti hanno un costo, riceverli gratuitamente è un diritto, ma anche un privilegio territoriale, come raccontavo sopra. Dicono - non lo so se sia vero - che uno stato d'animo positivo aiuti: di certo non dover affrontare un viaggio della speranza, con i miei affetti vicino, ha contribuito al mio benessere fisico e mentale”.
Non è un caso isolato: “In tante non ce l'hanno fatta"
“In tante non ce l'hanno fatta. Magari ci hanno riprovato ed è andata bene in seconda o terza battuta, questo non lo so dire. Però è corretto raccontare anche questa faccia della medaglia. E poi c'è Alessandra, mia compagna casuale di ventura e di endometriosi, che - sempre sotto l'egida del team multidisciplinare della struttura pubblica che ci ha seguite - successivamente ci ha riprovato. Olivia è arrivata dopo nove anni di tentativi. Bellissima, davvero. Un capolavoro, anche dei medici”.