Degenerazione maculare: nuove terapie anti-VEGF e impianti intraoculari in arrivo
Oltre un milione di italiani colpiti dalla degenerazione maculare. Nuove terapie e impianti intraoculari promettono di ridurre le iniezioni.
La degenerazione maculare legata all’età interessa oggi oltre un milione di italiani e impedisce una visione distinta e chiara degli oggetti e dei colori. Le terapie sono finalizzate al rallentamento della progressione, e prevedono farmaci anti-VEGF che bloccano la crescita incontrollata dei vasi sanguigni alla base della patologia. Questi farmaci vengono somministrati nell’occhio attraverso iniezioni intravitreali in maniera continuativa, in genere una volta al mese.
"La maculopatia è una patologia che compromette in maniera significativa la qualità di vita dei pazienti ed è molto diffusa: riguarda il 2% degli italiani e aumenta al crescere dell’età – osserva il professor Stanislao Rizzo, presidente di FLORetina ICOOR –. È ormai una malattia sociale e rappresenta la causa più frequente di ipovisione e disabilità visiva dopo i 50 anni nel mondo occidentale".
Esistono due forme, quella “secca”, la più comune (circa il 90% di tutte le forme), e quella umida o essudativa. "La maculopatia umida, causata da una crescita anomala di neovasi sotto la macula, la parte centrale della retina responsabile della visione fine, non era considerata curabile fino a qualche anno fa, ma i progressi terapeutici più recenti hanno consentito di rallentarne notevolmente la progressione e di ridurne l’evoluzione", sottolinea il professor Francesco Faraldi.
Sono già disponibili o allo studio nuove cure che possano ridurre l’impatto del trattamento, con una lunga durata d’azione che consentirà di prolungare gli intervalli tra una iniezione vitreale e l’altra. Dopo il recente arrivo in Italia di faricimab, il primo anticorpo bispecifico ‘a doppio bersaglio’, che oltre ad agire come anti-VEGF blocca l’angiopoietina-2 coinvolta nella crescita anomala di nuovi vasi, è da poco stato approvato aflibercept 8 mg, capace di prolungare gli intervalli fino a 5 mesi.
Ma non solo. Ora è atteso l’arrivo dell’impianto intraoculare di ranibizumab, un anti-VEGF già disponibile per intravitreali che può essere inserito in un piccolo serbatoio ricaricabile da impiantare chirurgicamente nella parete dell’occhio. "La strategia terapeutica prevede di inserire nell’occhio piccoli serbatoi che rilasciano gradualmente il farmaco dall’interno e che possono essere ‘ricaricati’: il lento rilascio allunga il periodo d’azione del farmaco e consente così di ridurre il numero delle iniezioni necessarie all’anno – afferma Rizzo –. La stessa strategia si sta perseguendo per un altro principio attivo con un diverso meccanismo d’azione, ma con un analogo effetto di blocco della formazione di nuovi vasi, l’inibitore di tirosin-chinasi axitinib, per il quale è stato appena avviato uno studio clinico di fase 3. In questo caso si utilizza un impianto di idrogel riassorbibile che eroga il farmaco stabilmente per diversi mesi e, stando ai risultati dei trial di fase 1 e 2, potrebbe tagliare del 90% la necessità di iniezioni intravitreali", conclude.