Crohn, il ruolo centrale dei biomarcatori
Negli States sono stati inseriti nelle linee guida i test per controllare l’infiammazione e valutare se la malattia è attiva o in remissione
C’è una nuova possibilità per aiutare i pazienti in modo miniinvasivo a monitorare e gestire la malattia di Crohn: la ricerca dei biomarcatori presenti nel sangue e nelle feci. Negli Stati Uniti le linee guida per questi biomarcatori sono state appena pubblicate dall’American Gastroenterological Association (AGA). È stata così riconosciuta ufficialmente l’utilità e la necessità di test del sangue e delle feci per monitorare e valutare se la malattia è attiva o in remissione. Le nuove linee guida sono state pubblicate dalla rivista Gastroenterology e vengono oggi rilanciate da AMICI Italia, l’associazione che si occupa dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), di cui la malattia di Crohn fa parte, e dei loro familiari.
La malattia di Crohn è una delle forme principali di MICI, caratterizzata da un’attivazione immunitaria cronica o recidivante nel tratto gastrointestinale. La risposta immunitaria continua, che si scatena contro l’intestino, a sua volta provoca una forte infiammazione. Anche se può colpire l’intero tratto gastrointestinale, nella maggior parte dei casi la malattia di Crohn interessa l’ultima parte dell’intestino tenue e il colon ed è caratterizzata principalmente da ulcere derivate dall’infiammazione. Se non trattate adeguatamente, queste possono portare a complicanze come stenosi o addirittura fistole che, in alcuni casi, richiedono l’intervento chirurgico.
A seconda della localizzazione, i sintomi che si possono manifestare sono differenti e, per chi ne soffre, possono trasformarsi in condizioni altamente invalidanti. Si stima che in Italia riguardi ben 100mila persone. «Accogliamo con grande entusiasmo la pubblicazione delle nuove linee guida dell’American Gastroenterological Association riguardo l’uso di biomarcatori nel monitoraggio della Malattia di Crohn – commenta Salvo Leone, Direttore Generale di AMICI Italia –. Questa svolta rappresenta un cambiamento significativo e positivo per i pazienti. Grazie a questi biomarcatori i medici possono monitorare più efficacemente lo stato di infiammazione, riducendo la necessità di endoscopie invasive e migliorando la gestione della malattia».
Tutto facile, quindi? Non proprio: «È nostro auspicio – continua Leone – che i costi associati al test della calprotectina fecale, attualmente a carico dei pazienti in diverse regioni italiane, vengano rivisti. È fondamentale che tali esami siano accessibili anche in Italia a tutti i pazienti senza oneri aggiuntivi. Questo non solo comporta minori disagi per i pazienti, ma permette anche un controllo più stretto e tempestivo dei sintomi, garantendo a lungo termine una migliore qualità di vita». «Il dosaggio quantitativo della calprotectina fecale rappresenta una metodica non invasiva che correla in modo sensibile, specifico, e diretto con l’attività endoscopica delle MICI – conferma Flavio Caprioli, segretario generale di IG-IBD, Italian Group for the study of Inflammatory bowel disease –. Nell’ultimo decennio, l’uso della calpotectina è diventato parte integrante della pratica clinica corrente nella gestione delle MICI visto il suo valore sia diagnostico che prognostico».
Sulla base delle linee guida americane aggiornate, i biomarcatori non sono più considerati sperimentali e dovrebbero essere parte integrante della cura delle MICI. I biomarcatori, infatti, forniscono maggiori informazioni sl processo patologico di base. Nel contesto delle MICI, biomarcatori come la proteina C-reattiva nel sangue e la calprotectina fecale nelle feci, possono misurare i livelli di infiammazione. Questi livelli possono aiutare i medici a valutare se la malattia di Crohn di un paziente è attiva o in remissione. AGA raccomanda l’uso di biomarcatori in aggiunta alla colonscopia e agli studi di imaging.