Cos’è l’Alzheimer: i sintomi più frequenti. Dalla memoria che vacilla alla perdita dell'autonomia

Ecco quali sono i segnali da monitorare. Nonostante sia una delle malattie più diffuse al mondo, solo 2 pazienti su dieci ricevono una diagnosi precoce

di MADDALENA DE FRANCHIS
20 gennaio 2025
Sopra i 50 anni, una persona su cinque soffre di Alzheimer

Sopra i 50 anni, una persona su cinque soffre di Alzheimer

La scoperta del nuovo gene coinvolto nella malattia di Alzheimer e il ruolo del glutammato nello sviluppo della malattia – avvenuta grazie a uno studio pluriennale di un gruppo di neuroscienziati italiani, coordinati dall’ospedale ‘Molinette’ di Torino – ha aperto importanti prospettive sia sui meccanismi della temuta patologia, sia sui target terapeutici.

La malattia di Alzheimer, è bene ricordarlo, è la causa principale di gravi deficit cognitivi ed è divenuta, soprattutto nell’ultimo decennio, uno dei maggiori problemi sanitari a livello mondiale, in quanto implica anche una forte necessità di sostegno a familiari e caregiver dei pazienti.

Nel nostro Paese, un over-50 su cinque presenta sintomi compatibili con l’Alzheimer ma, secondo le stime, solo 2 pazienti su dieci ricevono una diagnosi precoce. Quest’ultima può essere cruciale per ritardare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita di pazienti e caregiver. Vediamo, dunque, quali sono le caratteristiche più importanti e quali possono essere i campanelli d’allarme di una condizione degenerativa che, purtroppo, resta ancora, per molti versi, sconosciuta.

Che cos’è l’Alzheimer?

La malattia di Alzheimer (in inglese, Alzheimer’s disease) è una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo. È la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati. Prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che, all’inizio del 1900, ne individuò per primo i sintomi e descrisse i cambiamenti cerebrali associati. È caratterizzata da un processo degenerativo progressivo che distrugge le cellule del cervello e provoca un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive (memoria, ragionamento e linguaggio), fino a compromettere definitivamente l’autonomia e la capacità di compiere le normali attività giornaliere.

Quali sono le cause?

La causa scatenante dell’Alzheimer sembrerebbe legata all’alterazione del metabolismo di una proteina, la proteina precursore della beta amiloide (detta App). Per ragioni ancora non note, a un certo punto, nella vita di alcune persone, questa proteina inizia a essere metabolizzata in modo alterato, portando alla formazione di una sostanza neurotossica – la beta amiloide – che si accumula lentamente nel cervello, danneggiando le connessioni tra i neuroni e portando alla loro morte progressiva.

Meno del 5% dei casi di Alzheimer è causato dalla presenza di un gene alterato, che ne determina la trasmissione da una generazione all’altra di una stessa famiglia. Le forme familiari di Alzheimer hanno insorgenza più precoce, anche prima dei 40 anni, e sono legate alla presenza di varianti nei geni della presenilina 1 (Ps1) sul cromosoma 14, della presenilina 2 (PS2) sul cromosoma 1 o, ancora, della proteina precursore della beta amiloide (APP) sul cromosoma 21. In tutti questi casi, la trasmissione ha carattere autosomico dominante. Il restante 95% dei casi si manifesta in persone che non hanno alcuna predisposizione genetica, né una chiara familiarità con la patologia.

Come si manifesta: i sintomi della malattia

I sintomi della malattia di Alzheimer possono variare da soggetto a soggetto. Il sintomo più precoce a cui bisogna prestare attenzione è, solitamente, la perdita di memoria (dapprima in forma leggera e poco rilevabile, poi via via più marcata e grave). Alla perdita di memoria si associano, solitamente, altri disturbi. I ricercatori suddividono le manifestazioni principali in fasi: fase iniziale (con sintomi lievi), intermedia (con sintomi moderati) e avanzata (con sintomi gravi).

La fase iniziale è caratterizzata dalla perdita di memoria a breve termine, ovvero da una difficoltà a ricordare eventi recenti o informazioni appena apprese; da confusione temporale e spaziale (disorientamento su date, luoghi, giorni della settimana, ore della giornata), da una difficoltà nel trovare le parole giuste o ricordare i nomi delle persone, da disturbi del sonno e, infine, da cambiamenti di umore (irritabilità, ansia o lieve depressione). In questa fase, i sintomi possono essere attribuiti all'invecchiamento normale, rendendo difficile una diagnosi precoce.

Nella fase intermedia, i sintomi sono moderati e contemplano principalmente il peggioramento della memoria, ravvisabile nella difficoltà a ricordare eventi importanti della propria vita o informazioni personali, come il proprio indirizzo. Possono insorgere, inoltre, difficoltà linguistiche (parole sbagliate o frasi incomplete), compromissione delle abilità pratiche (problemi nel gestire il denaro, cucinare ricette semplici o utilizzare elettrodomestici), disorientamento grave (perdersi in ambienti familiari o confondere i propri cari), comportamenti ripetitivi (ripetere frasi o domande) e cambiamenti emotivi e comportamentali (agitazione, sospettosità, isolamento sociale, delirio e allucinazioni o comportamento aggressivo). In fase avanzata, i sintomi sono gravi e vanno da una perdita completa dell’autonomia (i pazienti diventano incapaci di svolgere anche le attività più semplici, come vestirsi, lavarsi o mangiare) all’incapacità di comunicare, perché si perde la capacità di parlare in modo coerente. Il paziente appare apatico, assente e non risponde più agli stimoli esterni (il cosiddetto ‘ritiro dal mondo esterno’) e presenta, a livello fisico, difficoltà motorie crescenti (incapacità di camminare, deglutizione compromessa e perdita del controllo degli sfinteri).

La prevenzione è possibile?

Al giorno d’oggi non esiste ancora una vera ed efficace prevenzione nei confronti dello sviluppo della malattia di Alzheimer. La ricerca scientifica ha finora dimostrato che la patologia è il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici e numerosi fattori ambientali, tra cui ipertensione, obesità, diabete, depressione e isolamento sociale, che favoriscono la deposizione nel cervello di quelle proteine tossiche riconducibili alla neurodegenerazione.

Diversi studi suggeriscono che il rischio della malattia possa essere ridotto diminuendo l’esposizione a malattie cardiache, sovrappeso e diabete, ovvero a tutte quelle condizioni che influiscono negativamente sul benessere cardiovascolare. Una dieta equilibrata, unita ad attività fisica costante, magari svolta in compagnia, e a un’appropriata stimolazione cognitiva (letture, risoluzione di quiz ed enigmi, apprendimento di nuove attività) sono considerate strategie a favore del benessere cerebrale e cognitivo.