Combattere gli stereotipi sull’Alzheimer attraverso la comprensione della malattia
In occasione della Giornata Mondiale dedicata alla patologia degenerativa sono ancora numerosi gli stereotipi da sfatare. Cambiando l’approccio è possibile seguire al meglio l’anziano colpito
Parlare di malattie neurologiche complesse come l’Alzheimer non è mai semplice, perché ad esse sono sovente collegate esperienze molto dolorose, in grado di segnare profondamente interi nuclei familiari per diversi anni.
La demenza senile e la perdita di capacità mentali che rendono a molti soggetti impossibile vivere una vita autonoma devono essere sempre trattate con il massimo rispetto e soprattutto con una conoscenza profonda che, ultima battuta, aiuterà ad accompagnare meglio gli individui con importanti deficit nelle ultime fasi della loro vita adulta.
Gli stereotipi
Intorno al morbo di Alzheimer, per il quale purtroppo ancora non è stata identificata una cura definitiva, ci sono grosse incomprensioni, che a volte possono persino emergere dalla stessa comunità medica.
Per esempio, secondo il più recente Rapporto Mondiale sull’Alzheimer, una grossa fetta della popolazione (l’80%) considera ancora la malattia degenerativa come un semplice acciacco dovuto all’età, un’opinione condivisa anche dal 65% del personale medico.
Questa mentalità limita l’adozione di approcci terapeutici e piani di assistenza innovativi, che potrebbero significativamente migliorare la qualità della vita delle persone colpite.
Il report ha messo in luce anche come un quarto della popolazione mondiale crede che non ci sia nulla da fare per prevenire o nemmeno mitigare gli effetti della malattia. Questa convinzione non solo alimenta il pessimismo, ma diminuisce anche l’impegno a livello individuale e comunitario verso strategie di prevenzione, come una dieta equilibrata, attività fisica regolare e una stimolazione cognitiva continua.
Ricerche in corso
In effetti, i traguardi che la comunità scientifica è riuscita a raggiungere negli ultimi anni sono ammirevoli e, per quanto i punti di domanda riguardo all’Alzheimer siano ancora numerosi, c’è certamente margine per una speranza che in futuro qualcosa possa cambiare. Molto interessante, proprio da questo punto di vista, una ricerca sviluppata anche dagli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha messo in luce la scoperta di un nuovo meccanismo molecolare legato alla perdita di memoria e delle capacità cognitive dei pazienti affetti da demenza.
Tale meccanismo coinvolge una proteina che ripara i danni del DNA nei neuroni, causati da stress e altri fattori: si tratta di una scoperta che, potenzialmente, potrebbe anche aprire la strada a nuove possibilità di diagnosi precoce, fornendo un nuovo indicatore della malattia. Identificando queste nuove vie cellulari, i ricercatori sperano che si possano inoltre sviluppare terapie farmacologiche mirate capaci di combattere contro la perdita delle sinapsi e dunque dei deficit cognitivi in diverse patologie neurologiche. Le prospettive, in breve, sono ad oggi più rosee di quello che alcuni potrebbero pensare.
Un nuovo approccio
Ecco dunque perché è importante modificare la percezione della malattia. Gli anziani colpiti non dovrebbero essere visti come persone “perse” o incapaci, ma piuttosto come individui che, con il giusto supporto, possono ancora vivere con dignità e una buona qualità di vita.
In quest’ottica è fondamentale anche il contributo delle famiglie dei malati, che possono e anzi devono devono imparare a gestire l’assistenza con empatia e comprensione, evitando di isolare i loro cari e coinvolgendoli in attività che stimolino il più possibile la loro mente.