Vincenzo Sarnicola: "Come ho ridato la vista a un cieco"

Trapianti oltre i limiti: il racconto del chirurgo visionario che sperimenta interventi da record. L’intervista a uno degli esperti più famosi al mondo di trapianto di cornea

di PATRIZIA TOSSI
18 agosto 2024
Vincenzo Sarnicola

È tra i chirurghi più esperti al mondo dei trapianti di cornea e il suo nome compare nella “walk of fame” della chirurgia, ovvero la lista dei medici più importanti degli ultimi 70 anni. Tanti gli interventi all’attivo, oltre 30mila, ma tra i risultati più eclatanti uno su tutti: l’anno scorso Vincenzo Sarnicola, 67 anni, ha ridato la vista a un cieco, ricostruendo un occhio sano da due occhi non vedenti. È stata la prima volta al mondo. Qualcuno lo ha ribattezzato “l’uomo dei miracoli”, ma lui si considera «un visionario appassionato di ricerca e sfide sempre nuove».

Prof. Sarnicola, lei ha aperto la strada ad interventi straordinari: come si diventa visionari?

"Essere un po’ visionari è importante e questo vale per qualunque cosa. La ricerca è fatta di abnegazione per il lavoro e l’immediata capacità di ricredersi di fronte a un errore o a nuovi scenari che si aprono. Bisogna saper correggere la rotta. Negli Usa dicono: la scienza non è “self congratulation“, ma “self correction“. È essenziale non essere vittime dei propri programmi, altrimenti ci si chiude in una gabbia e si perde la capacità di essere aperti al nuovo. È così che arrivano le nuove idee”.

Uno degli interventi più strabilianti è stato ridare la vista a un uomo non vedente: come è stato possibile?

"È stata una combinazione di eventi fortunati, trovare il paziente adatto per interventi di questo tipo è improbabile. Trent’anni fa Emiliano (oggi 84enne, ndr) aveva perso la vista all’occhio sinistro per una cecità retinica irreversibile e, negli ultimi 10 anni, aveva progressivamente perso la visione anche dell’occhio destro per una patologia cronica rara. Era già stato sottoposto a due trapianti di cornea tradizionali, entrambi falliti per la mancata funzionalità della superficie oculare. Ma ho intravisto la possibilità di farlo uscire dal buio”.

È stato complesso?

"Non è stato un intervento semplice, il grado di complessità era importante: ci abbiamo messo 20 giorni solo per scrivere il consenso informato. Il chirurgo ha la responsabilità della scelta medica, ma in casi come questi è necessario che il paziente sia consapevole di cosa si sta per fare. Emiliano è stato di una lucidità unica e anche con la figlia, che è ingegnere, è stato possibile ragionare su criteri oggettivi”.

Ci parla dell’intervento?

"È stato realizzato un autotrapianto dell’intera superficie oculare prelevata dall’occhio sinistro. Mezza parte dell’occhio era sana, ma irrecuperabile dal punto di vista funzionale. Abbiamo prelevato tutta la congiuntiva, la cornea e due millimetri di sclera in un unico pezzo. In pratica, un terzo dell’occhio sinistro è stato autotrapiantato nell’occhio destro, che quindi è stato ricostruito ed è tornato a vedere. L’aspetto più delicato era capire se, dal punto di vista neurologico, si sarebbe innescato un meccanismo di riparazione per il quale servono due anni per realizzarsi”.

Cosa si prova durante interventi così delicati?

"La vita è un ammasso di emozioni e, saperle gestire, è la chiave che apre la porta al successo o al fallimento dovuto a scelte sbagliate. Lo scoglio più grande è la paura, che va sempre ignorata. Nel 2001 ho realizzato il primo trapianto di cellule staminali da un donatore vivente su un ragazzo che ora è diventato fisioterapista: queste sono le emozioni che danno la voglia di continuare”.

L’anno scorso ha ricevuto in Vaticano il Premio Internazionale “Vexillum Giuseppe Sciacca”. Cosa ricorda?

"È stato un traguardo significativo, davvero una grande emozione. Forse uno dei giorni più belli della mia vita. Ho la fortuna di avere due figlie in gamba, Erica e Caterina, che mi supportano in tutto quello che faccio. Senza di loro, e senza il mio staff, non potrei realizzare questi traguardi”.

Quanto conta la ricerca?

"Moltissimo. Il mio cervello non riposa mai, c’è sempre la voglia di andare avanti. Il suo nutrimento è la ricerca: il mio cervello si nutre di queste imprese di successo”.

Chi è Vincenzo Sarnicola

Laureato in Toscana e specializzato in strabismo e motilità oculare alla Columbia University di New York, Vincenzo Sarnicola ha effettuato più di 30mila interventi agli occhi. Nel 2011 ha effettuato, per la prima volta in Italia, un trapianto di limbus ricco di cellule staminali, prelevato da donatore vivente. È tra i fondatori della Società Italiana Cellule Staminali e Superficie Oculare e primo presidente della Società Europea della Cornea Eucornea. La Banca degli occhi di Sorocaba (Brasile) lo ha inserito tra i chirurghi più importanti al mondo. Nel 2023 ha vinto il “Vexillum Giuseppe Sciacca”.

Dalk, l’intervento salva cornea che arriva dalla storia

Dalk, il trapianto di cornea rivoluzionario che abbatte il rigetto del 99%. È stato Vicenzo Sarnicola a lanciare questa nuova frontiera degli interventi agli occhi. Se fatto in modo tempestivo, risolve le infezioni corneali: un problema che può creare gravi danni e colpisce oltre 3mila persone l’anno.

"Con il Dalk non viene sostituita tutta la cornea, ma solo il foglietto intermedio: lo stoma. In questo modo, le parti della cornea non danneggiate vengono salvate e il rischio di rigetto è quasi del tutto superato”, spiega Sarnicola.

Un approccio nuovo? "Non proprio. Su un libro di medicina, ho trovato un disegno di fine Ottocento che, senza ombra di dubbio, era un trapianto di cornea molto simile al Dalk. La storia è fatta di corsi e ricorsi. La vera novità è poter salvare la cornea intervenendo sulle infezioni gravi non rispondenti alla terapia medica”. Una tecnica che fa scuola. “I colleghi americani vengono da noi a studiarlo, in Italia abbiamo una lunga esperienza da condividere”.