Giovani sportivi a rischio malore? Ecco cosa succede a cuore e coronarie
Il cardiochirurgo Mauro Lo Rito spiega cosa c’è dietro alle morti improvvise degli atleti. A Milano è nato il progetto Smart per migliorare le diagnosi
Ragazzi giovani, a volte giovanissimi, e anche atleti, risultati idonei alla visita medico sportiva, che muoiono improvvisamente durante una partita di calcio, una corsa o facendo un qualsiasi altro sport. Morti improvvise, apparentemente inspiegabili, molte delle quali, oltre che da aritmie maligne e cardiomiopatie ipertrofiche, sono causate da un’anomalia di origine delle coronarie. Una patologia congenita rara e asintomatica nel 60% dei casi, sempre più oggetto di studi e ricerche da parte della comunità clinica e scientifica.
“Le coronarie sono come una rete di capillari che nella vita fetale avvolge il muscolo cardiaco e, tra la 34esima e la 62esima giornata di gestazione si attaccano all’aorta dando origine all’albero coronarico”, spiega Mauro Lo Rito, cardiochirurgo dell’Unità di Cardiochirurgia Pediatrica e dei Congeniti Adulti dell’Irccs Policlinico San Donato, alla guida del progetto Smart, un’iniziativa multidisciplinare finalizzata a migliorare la diagnosi di queste patologie.
“Se nel momento in cui le coronarie si devono attaccare non trovano delle condizioni favorevoli per farlo correttamente – prosegue – lo fanno nel posto sbagliato, ma congiungendosi sempre con l’aorta. Il cuore riceve comunque sangue ossigenato e di conseguenza, questa anomalia non dà manifestazioni di sé o di alterazioni dello sviluppo cardiaco. Tuttavia, questo tipo di anomalie congenite definite dall’acronimo Aaoca (Anomalous Aortic Origin of a Coronary Artery), fa sì che l’arteria anomala, per fare il suo percorso, passi vicino all’aorta o ad altre strutture vascolari che, dilatandosi sotto sforzo, la possono comprimere od occludere causando un’ischemia miocardica o infarto anche se le coronarie appaiono indenni, ovvero prive delle classiche placche calcifiche che si vedono nelle persone adulte con malattia ischemica del miocardio con fattori di rischio come per esempio il fumo, diabete o l’ipertesione arteriosa”.
É possibile dare dei numeri?
“Non sono mai stati fatti screening di massa quindi non abbiamo un dato preciso. Si stima che ne siano portatrici circa tre, quattro persone ogni mille, quindi rientra tra le patologie rare. Tuttavia, se pensiamo ai milioni di persone che in Italia praticano uno sport a livello amatoriale o professionistico o fanno attività fisica, pur essendo una patologia rara, potenzialmente, il numero di persone potrebbe avere delle conseguenze per questa anomalia potrebbe essere molto più alto”.
I controlli per l’idoneità sportiva non sono sufficienti?
“I test che si fanno per verificare l’idoneità sportiva agonistica, come l’elettrocardiogramma sotto sforzo e la visita del medico sportivo, non sono specifici per diagnosticare tale anomalia. Le anomalie coronariche potrebbero essere sospettate con un’ecografia, fatta da personale esperto, che però viene fatta durante la valutazione sportiva, solamente in caso ci siano problemi cardiaci di altro tipo. Non è pratica comune ricercare un’anomalia coronarica e quindi, si superano tranquillamente gli screening routinari e si continua a praticare sport pensando di avere un cuore sano. Poi però, improvvisamente, durante l’attività sportiva, senza prodomi o sintomi premonitori, si ha una sincope, uno svenimento e nei casi più gravi un arresto cardiaco per cui si deve essere rianimati. Tra le cause di morte improvvisa nello sportivo, l’anomala d’origine della coronaria è la seconda proprio perché’ rimane difficile da riconoscere con gli screening standard”.
Si manifesta sempre in questo modo?
“La morte improvvisa da sforzo per anomalia coronarica colpisce i più giovani a partire dall’età pre-adolescenziale, quindi 12-13 anni, fino ai 30 anni circa. Nelle persone adulte di 45-50 anni, invece, si manifesta generalmente con il classico dolorino toracico che innesca una serie di accertamenti portando alla diagnosi di anomalia coronarica. In una parte di questi adulti, quasi un 30%, si palesa con infarti veri e propri. Ci si reca al Pronto Soccorso con la classica sintomatologia da infarto, ma le coronarie risultano indenni, non hanno nessuna ostruzione ma bensì un’anomalia d’origine”.
Quando si sospetta un’anomalia coronarica e come si procede?
“Il sospetto può nascere da un elettrocardiogramma alterato o da un’ecografia, ma per averne conferma e fare una diagnosi certa è necessaria una Tac coronarica. La Tac dà un quadro delle caratteristiche
anatomiche - se è un’anomalia di tipo destro o sinistro, se ha caratteristiche di una certa malignità o è una forma “benigna” in quanto a basso rischio – perché permette di vedere il costrutto architettonico dell’aorta e delle coronarie. Però la TC è fatta a riposo, quindi non si ha un’immagine della coronaria quando il paziente fa uno sforzo fisico di qualsiasi tipo. Quindi, si procede con una serie di test da sforzo e altre particolari indagini per vedere se si manifesta una sofferenza cardiaca di tipo ischemico o infartuale. Se si verifica una alterazione ischemica, l’anomalia è sicuramente maligna e bisogna intervenire, ma se gli esami risultano negativi, poiché’ non sono purtroppo predittivi, il soggetto, in futuro, praticando sport, potrebbe incorrere in un infarto. Ad oggi la valutazione del rischio o meno di avere morte improvvisa, viene fatta prevalentemente sulla base delle caratteristiche anatomiche, raramente, solo un 10-20%, su delle positività ai test, perché per la maggior parte dei pazienti risultano negativi”.
Come è possibile?
“Sostanzialmente i test che si praticano in ambito ospedaliero non riescono a generare la stessa intensità, durata e stato emotivo agonistico di una gara sportiva e quindi è difficile replicare tutte le condizioni che potrebbero dare problemi. Una seconda limitazione è che, anche fosse possibile ricreare lo sforzo fisico necessario, le strutture cardiache sarebbero in un tale movimento da rendere impossibile vedere le arterie coronarie, che hanno un diametro di pochi millimetri, con qualsiasi metodica diagnostica. Bisogna inoltre considerare che, sottoponendo a uno sforzo un’anomalia coronarica maligna molto importante, si espone soggetto comunque a un potenziale pericolo”.
E qui arriviamo al progetto Smart: ce ne parla?
“Il progetto Smart nasce da anni di ricerca sulle anomalie coronariche condotte presso l’Irccs Policlinico San Donato. Inizialmente abbiamo ottenuto un finanziamento, per un precedente progetto chiamato Necessary dal Ministero della Salute con il bando di Ricerca Finalizzata del 2019, che ci ha permesso di comprendere i principi base del perché queste anomalie coronariche diventano maligne sotto sforzo e creare un tool capace di replicarle in maniera personalizzata adattandosi ad ogni singolo paziente. Questo metodo da noi sviluppato, ci permette di avere, con un’ottima approssimazione, una stima di com’è il flusso sanguigno all’interno delle coronarie e di farlo anche in condizioni di sforzo simulato non riproducibile durante i test ospedalieri. Su una evoluzione di questo progetto poi è nata l’idea alla base di Smart, progetto finanziato quest’anno dal Ministero della Salute tramite un bando Pnrr, che utilizzando metodiche di Intelligenza Artificiale e di simulazione bioingegneristica mira a migliorare la diagnosi e la stratificazione del rischio dei pazienti con anomalie coronariche dalla semplice Tac, cioè al momento in cui è stata fatta la diagnosi. Con Smart saremo in grado di permettere l’utilizzo dei metodi innovativi da noi sviluppati permettendo ai medici di valutare immediatamente se il soggetto è a rischio di avere una compressione coronarica da sforzo”.
Ma non solo…
“Oltre a sviluppare un nuovo approccio per la diagnosi e la valutazione del rischio attraverso strumenti di bioingegneria e Intelligenza Artificiale, l’obiettivo era anche ridurre il numero di esami a cui il paziente deve sottoporsi. Grazie a questi strumenti, sarà possibile determinare con maggiore precisione se una persona è realmente a rischio e, di conseguenza, decidere se sottoporla ad ulteriori accertamenti, necessari in caso di trattamenti medici o interventi chirurgici. In questo modo, si potranno evitare esami invasivi superflui, migliorando sia l’efficienza del processo diagnostico sia l’esperienza del paziente”.
Come è possibile?
“Il progetto Smart ci permette di creare al computer un modello del cuore con una precisione anatomica spaziale unica, con differenze inferiori al millimetro, e, una volta costruita l’architettura geometrica, di aggiungere tutte le condizioni e i parametri specifici dell’individuo. Potremo così sapere come funzionano le sue coronarie a risposo e sotto sforzo, ma anche replicare i meccanismi che determinano la compressione graduale della coronaria durante lo sforzo e che potenzialmente
provocano una sofferenza ischemica e di misurarla. Inoltre, possiamo ricreare tutte le condizioni di sforzo che vogliamo, anche quelle di un’intensità tale che non saremmo mai in grado di sostenere”.
Smart ha anche un’altra particolarità: qual è?
“Grazie anche alla spinta di questi progetti abbiamo creato all’interno dell’IRCCS Policlinico San Donato un percorso dedicato alle anomalie di origine coronariche unico in Italia. In tutto il mondo sono pochissime, forse quattro o cinque, le strutture che vantano le nostre stesse caratteristiche di completezza e innovazione. Nel collaborare al progetto, si è creato un team multidisciplinare all’interno dell’area cardiologica, cardiochirurgica e radiologica che, interagendo tra loro e con il paziente, hanno dato vita a un percorso di diagnosi e cura dedicato il cui obiettivo è dare risposte più accurate possibili. Il paziente, quindi, può usufruire di tutta una serie di diagnostiche e di expertise che fanno parte di un percorso cucito sulle caratteristiche peculiari di questa anomalia congenita coronarica. Per questo riceviamo anche molte richiesta di supporto da centri periferici che, una volta sospettata la diagnosi, chiedono una nostra valutazione”.
Il percorso riguarda solo l’ambito clinico?
“Il paziente è seguito sotto ogni aspetto. Una delle sue principali esigenze infatti, è quella di capire e di avere delle risposte. Il paziente ha mille interrogativi sul perché la sua vita è cambiata e non sa cosa fare, dal non avere mai avuto problemi è passato alla consapevolezza di poter morire. Nella maggiore parte dei casi questo non avviene. Il 70% delle anomalie coronariche non richiede un trattamento medico o chirurgico, mentre il restante 30% sì, perché rischia di avere un infarto sotto sforzo”.
Quali sono i prossimi obiettivi?
“Il progetto Necessary si concluderà a dicembre ma il lavoro non è finito. Di fatto con il progetto Smart abbiamo creato un network di ricerca, assieme all’Università di Pavia, all’Ismett di Palermo e all’Università Federico II di Napoli. Con tale network, grazie a questo un bando Pnrr, saremo in grado di trasferire e rendere fruibili nell’arco di un paio di anni i risultati che abbiamo avuto all’ambito medico sanitario, ovvero cercare di concretizzarli in un tool che permetterà agli altri ospedali, ovunque essi si trovino, di accedere direttamente alla stessa metodica di valutazione che abbiamo nella nostra struttura”.