Salute mentale, autolesionismo e dismorfismo corporeo nei giovani: cosa c’è da sapere
Andrea Fossati, preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, spiega le novità degli studi in corso
A lungo considerata solo marginalmente nelle iniziative di salute globale, oggi la salute mentale non si riferisce esclusivamente al benessere psicologico, ma al benessere globale della persona, quindi, prendersene cura, significa occuparsi della propria salute in generale perché la mente, si sa, è strettamente connessa al corpo. E infatti, due problematiche di grande attualità mettono al centro proprio questo legame.
“Attualmente i due nostri principali temi di studio – spiega Andrea Fossati, preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele (UniSR) – sono il dismorfismo corporeo e l’autolesività, fenomeni complessi che spesso esordiscono in età adolescenziale ma perdurano anche in quella adulta”.
Dismorfismo corporeo: lo studio
Il dismorfismo corporeo è un disturbo caratterizzato dalla preoccupazione per difetti minimi o trascurabili che vengono ingigantiti e portano a “comportamenti ripetitivi come continuare a fissare il difetto per controllare che non sia ulteriormente peggiorato, oppure ad avere la sensazione che le persone con cui interagiamo notino il difetto e diano segni di disapprovazione per quello che vedono – puntualizza Fossati – inoltre va ricordato che è un disturbo che esiste da quando è nato l’uomo, privo di confini netti rispetto a quella che viene definita normalità, e che risente del clima sociale e culturale e della pressione rispetto agli stereotipi estetici. Più una cultura è attenta all’immagine, più l’attenzione al difetto si accentua e più crea una disposizione a questo tipo di problematiche che spesso viene sottostimata”.
Uno studio dell’UniSR, ha evidenziato nuovi aspetti del dismorfismo corporeo, in primis, quello di appartenere allo spettro ossessivo. “Condotto da Antonella Somma, questo studio online che deve ancora essere pubblicato, ha evidenziato che nel dismorfismo corporeo c’è sì un aspetto ripetitivo ma anche un legame con l’impulsività, una perdita di controllo collegata alle condizioni ansioso depressive”.
Le caratteristiche di questo disturbo
Da sottolineare poi, che non è una problematica esclusivamente giovanile. “L’esordio è adolescenziale – afferma Fossati – legato alle modificazioni del corpo – anche se spesso i difetti riguardano segmenti come le orecchie o il naso, con cui si cresce – oppure al fatto che in un certo momento una particolarità come il volume del seno, la larghezza fianchi o la lucentezza o meno della cute diventa un difetto intollerabile, ma è un disturbo che accompagna durante tutta la vita adulta, con andamenti che risentono sia degli aspetti di controllo legati alla gestione delle emozioni negative, sia degli aspetti di tipo depressivo. Il legame più chiaro, univoco e intenso con il disturbo da dismorfismo corporeo, è proprio quello con l’area legata alla disregolazione emotiva e agli stati depressivi. C’è anche una forte compromissione degli aspetti identitari perchè questa problematica va a colpire la sicurezza in uno degli elementi centrali per la definizione dell’identità, l’aspetto fisico, ed è uno dei due soli disturbi dello spettro ossessivo che presenta questo tipo di problematica”.
L’altra caratteristica del dismorfismo corporeo è che raramente si ha che fare con solo difetto, anzi “quando si rivolgono alla medicina o alla chirurgia estetica, alla dermatologia o ad altre discipline di intervento per rimuovere il difetto, subito dopo ne escono altri o il rimedio non è mai sufficiente. La numerosità o la progressione dei difetti può essere virtualmente infinita”.
E qui entra in gioco l’importanza di chiedere aiuto, perché spiega Fossati, “quando una persona con dismorfismo incontra un medico o uno psicologo capace di ottenere la sua fiducia e di spostare la sua attenzione dalle questioni fisiche alle problematiche psicologiche soggiacenti, si rende conto che l’inseguire i difetti e il cercare di rimediare è un rituale che non avrà fine, sembra dare rassicurazione ma in realtà peggiora ulteriormente la percezione di difettosità. Bisogna spostarsi su un piano di intervento con tecniche psicoterapeutiche cognitivo comportamentali che sono davvero efficaci”.
Autolesionismo
L’altro grande tema di studio dell’UniSR è l’autolesività. “Abbiamo iniziato studiarla nel 2010 su un campione adolescenziale e rimanemmo sorpresi dai dati raccolti, tanto da pensare che fossero un artefatto. Invece, la prevalenza tra il 15 e 16% che avevamo riscontrato era in linea con il dato europeo nella stessa fascia d’età. Abbiamo iniziato a fare degli studi successivi e l’ultimo, appena concluso, è sui giovani adulti, quella fascia di età in cui non si è più tecnicamente adolescenti ma si sta andando verso la piena età adulta. Ci aspettavamo un declino dei comportamenti autolesivi, invece, sono risultati attorno al 14%, confermando che è una problematica che tende a persistere oltre l’adolescenza”.
Quanto alle modalità autoadesive, la più frequente è il graffio a sangue seguito dal morso sangue e dal tenere le ferie aperte, che, sottolinea Fossati, “la raccontano lunga su come tendiamo a gestire gli stati d’animo negativi. Il nostro studio, per la prima volta in Italia, indaga anche sulle motivazioni che spingono all’autolesività, individuandone tre: regolare degli stati d’animo negativi, identificarsi con i pari, per determinare un senso di appartenenza a una cerchia di amicizie, una sorta di rito di iniziazione e condivisione, e per avere un’influenza sul mondo sociale, ovvero fare capire quanto si sta male e promuovere l’attenzione dell’altro. Queste tre motivazioni sono fortemente collegate e spesso convivono”.
Venendo alla frequenza degli episodi autolesinistici, l’aspetto regolatorio degli stati emotivi è quello che impattata maggiormente “ma il nostro studio ha evidenziato che uno stato d’animo legato all’emozionalità negativa del registro depressivo va a impattare non solo sulla condizione di regolazione autonomica ma anche sugli altri due sistemi motivazionali. Quindi, se vogliamo lavorare sulla riduzione della frequenza o sulla prevenzione di questi comportamenti, gestire le emozioni è importante ma lo è anche capire quali sono gli altri aspetti motivazionali legati al gruppo dei pari e all’influenza che cerco di avere sia sui coetanei che sulle figure adulte. Il punto centrale è che questi sistemi motivazionali hanno a che fare con i diversi aspetti del mondo mentale problematico della persona, uno dei quali, particolarmente pernicioso, è legato alle condizioni di depressività, che hanno un effetto diretto sul rischio di NSSI (autolesionismo non suicidario) e un effetto indiretto attraverso i sistemi motivazionali collegati”.
Anche in questo caso, come per il dismorfismo corporeo, la diffusione nella popolazione non è esattamente trascurabile e la problematica tende a persistere in maniera stabile e a tornare come prima soluzione quando si affrontano fasi critiche nell’età adulta. “Questo – puntualizza Fossati – genera la sensazione di esserci ricaduto, di avere deluso le aspettative, di non riuscire a fare di meglio che tagliarsi, portando a un peggioramento dell’immagine di sé che diventa un peggioramento del proprio umore buttando benzina sul fuoco della macchina autoadesiva. Il tutto senza dimenticare che autolesività e idea suicida hanno un legame molto più forte di quello che si credeva in passato”.