Roberta Gunelli: "Tecnologia e formazione, le sfide aperte dell’urologia"

La specialista: cistite, incontinenza e infezioni sono le patologie più frequenti per le donne, mentre per gli uomini l’ipertrofia prostatica benigna è la più diffusa

di VALENTINA PAIANO
16 giugno 2024

Le donne sono da sempre protagoniste nelle cure ma spesso invisibili quando si tratta di ricoprire posizioni apicali. Se poi si guarda ai servizi che per anni sono stati ad esclusivo appannaggio maschile, i numeri diminuiscono drasticamente. Roberta Gunelli, è una delle quattro donne in Italia a dirigere un reparto di Urologia. Dal 2020 guida l’unità operativa dell’ospedale Morgagni- Pierantoni di Forlì.

 

Dottoressa, qual è stato il percorso per diventare primario?

«Fin da piccola desideravo fare il medico, inizialmente mi sono specializzata in Ginecologia ma frequentando la sala operatoria ho capito che la chirurgia era la mia vera passione così ho deciso di cambiare corso e iscrivermi a Urologia. Il cammino non è diverso da quello seguito dagli uomini ma è necessaria tanta tenacia per superare le difficoltà legate ad aspetti culturali che purtroppo sono ancora radicati nella nostra società».

 

Infatti, sono solo quattro le donne che, ad oggi, hanno un incarico dirigenziale nei circa 400 reparti di urologia in Italia.

«Le colleghe che ricoprono, come me, ruoli dirigenziali sono una su dieci rispetto agli uomini e nel nostro settore la frequenza si abbassa ancora. I dati parlano chiaro: il 30% delle donne che svolgono un ruolo di rilievo è single o separata, contro il 10% degli uomini, e il 33% delle dottoresse non ha figli, rispetto al 13% dei maschi. Questi dati fanno riflettere sulle difficoltà che le donne ancora vivono».

 

Lei come ha bilanciato aspirazioni professionali e vita privata?

«I sacrifici non sono mancati, la mia famiglia mi è sempre stata molto vicina. Ho avuto la fortuna di lavorare dal 1992 al 2019 con mio marito, anche lui urologo, questo ha fatto sì che tante difficoltà fossero condivise. Senza questo appoggio sarebbe quasi impossibile dedicare la maggior parte delle giornate alla professione medica senza perdere il contatto con la realtà famigliare».

 

Qual è il valore aggiunto di questa specialità rispetto alle altre?

«L’urologia non è solo chirurgia: permette di prendere in carico il paziente in ogni fase della malattia, partendo dalla diagnosi, all’intervento, fino ai controlli negli anni successivi. Si crea un legame non solo professionale con il malato ma anche umano ».

 

Sul lavoro ha vissuto episodi dove sono stati favoriti i colleghi uomini?

«Non ci sono mai stati evidenti momenti di discriminazione anzi durante la mia vita professionale ho potuto instaurare anche delle belle amicizie con alcuni medici di sesso maschile».

 

Durante le visite le è capitato che alcuni pazienti maschi si sentissero in imbarazzo di fronte a un medico donna?

«Quando ero una giovane dottoressa i pazienti più anziani mostravano una diffidenza iniziale ma oggi non è più così. Sono stati fatti passi avanti nel contrasto dei pregiudizi di genere e probabilmente dopo tanti anni di servizio le persone si affidano alle mie cure con più serenità».

 

Sfatiamo il mito che l’urologia sia solo materia che riguarda gli uomini: quali sono le patologie urologiche che colpiscono di più le donne?

«Le tre malattie più frequenti sono le infezioni del tratto urinario, causate dall’anatomia dell’uretra femminile che risulta più corta rispetto a quella degli uomini; la cistite interstiziale, patologia cronica invalidante che comporta un forte dolore pelvico e la tendenza a urinare frequentemente. Infine, l’incontinenza urinaria che colpisce, in Italia, circa tre milioni di donne. Nonostante si tratti di un problema diffuso, solo il 25% delle pazienti ne parla con il medico, perché questa condizione provoca estremo disagio dal punto di vista sociale e relazionale».

 

E negli uomini?

«La fa da padrona l’ipertrofia prostatica benigna con la classica sintomatologia che comprende la riduzione dell’intensità del mitto urinario. Per le patologie oncologiche il tumore alla vescica colpisce circa quattro volte di più gli uomini rispetto alle donne».

 

Il tumore al testicolo colpisce di più i giovani, i casi sono in aumento?

«L’incidenza, negli uomini tra i 30 e i 40 anni, è aumentata nel corso degli ultimi decenni, soprattutto nei paesi più industrializzati. Si registrano dai 3 ai 10 nuovi casi all’anno per 100mila maschi. Occorre insegnare ai ragazzi a praticare l’autopalpazione: da anni gli urologi del mio reparto vanno nelle scuole superiori a fare prevenzione».

 

Cosa contraddistingue il reparto forlivese di cui è direttrice?

«La nostra vocazione principale è il trattamento delle patologie oncologiche del tratto urinario, grazie alla stretta collaborazione con l’Irst – Istituto oncologico Romagnolo per lo Studio e la cura dei Tumori di Meldola. Tra le altre attività cerchiamo di creare protocolli di cura personalizzati, come abiti su misura, per i malati neuro-urologici e quelli affetti da calcolosi. Inoltre, utilizziamo dal 2007 la piattaforma robotica Da Vinci e siamo impegnati nello studio della fertilità e dell’andrologia».

 

Quali sono le prossime sfide per il futuro?

«Le prove per il domani sono numerose: la tecnologia è in costante aggiornamento questo richiede una formazione continua dei medici, inoltre è sempre più necessario ‘coltivare’ una nuova generazione di urologi qualificati. La ricerca scientifica per contrastare le patologie oncologiche va promossa e garantita tramite adeguati finanziamenti. Infine, occorre promuovere l’uguaglianza di genere e supportare le carriere delle donne in Urologia».

 

IL PROFILO

La dottoressa Roberta Gunelli, direttrice dell’Unità di Urologia dell’Ospedale Morgagni- Pierantoni di Forlì, è una delle quattro donne primario di Urologia in Italia. È past president AURO (Associazione Urologi Italiani) e Vice-Presidente SIEUN (Società Italiana di Diagnostica Integrata in Urologia Andrologia e Nefrologia). Ha collaborato alla stesura delle linee guida biopsia prostatica.