Medicina di genere: una prospettiva cruciale per lo studio dell’Alzheimer
Ne parliamo con Annalisa Voltolini, vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Brescia

Medicina di genere: una prospettiva cruciale per lo studio dell’Alzheimer
Alzheimer: è anche questione di medicina di genere. La prevalenza nel sesso femminile è maggiore in Italia come in molti altri paesi e il carico legato alla malattia non si limita al rischio di venirne colpiti, ma coinvolge di più le donne anche nella cura del malato essendo la maggior parte dei caregiver.
Il dato è fortemente influenzato da aspetti legati alla nazione in cui si vive e dalle condizioni sociali: l’aspettativa di vita e l’istruzione influenzano significativamente il rischio. La donna risulta protetta dagli estrogeni, ma tale vantaggio viene bruscamente ad annullarsi dopo la menopausa, specie se avviene precocemente.
Sesso e genere hanno effetti importanti nel processo neurodegenerativo: grazie all’approccio di genere negli studi si stanno ottenendo dei risultati che migliorano le cure e il benessere di donne e uomini affetti da questa malattia. Ne abbiamo parlato con Annalisa Voltolini, vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Brescia, che è anche coordinatrice commissione medicina genere specifica dell’Ordine.
Dottoressa Voltolini, facciamo un passo indietro. Cos’è, innanzitutto, la medicina di genere?
"La medicina di genere, secondo l’OMS, è lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (sesso) e socioeconomiche e culturali (genere) sulla salute e sulla malattia. Non si limita a considerare le diversità fisiologiche tra uomini e donne, ma analizza come queste influenzino la ricerca, la diagnosi, la cura e la riabilitazione. L’obiettivo è garantire cure personalizzate, terapie più appropriate e sostenibili, riducendo errori diagnostici e gli effetti collaterali dei farmaci. Questo approccio permette di arrivare a diagnosi più precoci e terapie mirate, con minori effetti avversi e costi sanitari ridotti. Inoltre, favorisce una maggiore equità nell’accesso alle cure, superando le discriminazioni legate al sesso e al genere”.

Quando si è sviluppata?
"La medicina di genere ha iniziato a svilupparsi negli anni ‘90 grazie al lavoro della cardiologa americana Bernadine Healy, che nel 1991 introdusse il concetto di "Yentl Syndrome" per descrivere come le donne fossero spesso sottodiagnosticate e sottotrattate rispetto agli uomini. Da allora, la ricerca ha fatto passi avanti significativi nell'evidenziare le differenze di genere nelle malattie e nei trattamenti. È importante sottolineare che la medicina di genere non è la medicina delle donne o delle dottoresse, ma un approccio scientifico che studia le differenze di sesso e genere per migliorare la salute di tutti".
Quali sono i benefici della medicina di genere?
“Studiare le differenze di genere permette di ottenere diagnosi più precise e tempestive, evitando iter diagnostici lunghi e costosi. Ad esempio, molte malattie, come l’infarto miocardico, si manifestano diversamente nelle donne rispetto agli uomini. Conoscere queste peculiarità migliora la diagnosi e riduce i rischi legati a trattamenti inadeguati. L’integrazione della medicina di genere in tutti i settori della salute, dall’infanzia alla vecchiaia, porta a una maggiore sostenibilità del sistema sanitario e a un miglioramento complessivo della qualità delle cure”.
Ci può fare qualche esempio concreto?
Un esempio è proprio l’infarto del miocardio: per anni si è creduto che colpisse quasi esclusivamente gli uomini, mentre ora sappiamo che è una delle principali cause di morte nelle donne dopo la menopausa. Tuttavia, nei soggetti femminili i sintomi sono meno riconoscibili, portando a ritardi diagnostici e a trattamenti non adeguati. Le donne spesso vengono dimesse con diagnosi errate di disturbi gastrici o ansia, con conseguenze potenzialmente fatali. Al contrario, l’osteoporosi è sempre stata considerata una malattia femminile, ma anche gli uomini ne soffrono con conseguenze più gravi, come un maggiore rischio di mortalità dopo una frattura, a causa di un ritardo nella diagnosi e nella prevenzione".
Come si applica la medicina di genere all’Alzheimer?
“L’Alzheimer ha una prevalenza femminile: colpisce le donne dopo i 65 anni con un’incidenza doppia rispetto agli uomini. La medicina di genere non si è limitata a registrare questo dato, ma ha stimolato studi sulle cause di questa differenza. Si è scoperto che fattori come la menopausa, la maggiore risposta immunitaria femminile e la suscettibilità genetica all’allele APOE-ε4 contribuiscono all’aumento del rischio nelle donne. Inoltre, un altro aspetto da considerare è che la maggior parte dei caregiver di pazienti con Alzheimer sono donne, esponendole a uno stress elevato e aumentando il rischio di ammalarsi a loro volta".
Quali sono i principali fattori di rischio modificabili per prevenire l’Alzheimer?
"Ci sono diversi fattori di rischio su cui possiamo intervenire. Ad esempio, una bassa istruzione è stata identificata come uno dei principali fattori di rischio: il cervello è plastico, quindi mantenere attiva la mente con lo studio, la lettura e i giochi di logica aiuta a ritardare l’insorgenza della malattia. Noi oggi osserviamo che le donne anziane hanno avuto meno opportunità di studio: sono meno istruite, meno laureate e hanno svolto lavori meno stimolanti dal punto di vista intellettuale. Questo è un fattore cruciale nello sviluppo della malattia. Vi sono poi altri fattori di rischio modificabili, che sono cruciali per la prevenzione. Questi fattori non solo influiscono sulla demenza, ma su molte altre patologie e dovrebbero essere tenuti sotto controllo fin da giovani. L’istruzione è uno di essi: un articolo pubblicato su The Lancet indicava che un basso livello di istruzione aumenta il rischio di Alzheimer dell’8-9%. Altri fattori importanti sono l’ipoacusia, l’ipercolesterolemia, il fumo e la sedentarietà, che influisce per il 3-4%. È stato dimostrato che un’attività fisica adeguata può ritardare l’insorgenza della malattia o il suo aggravamento anche di 10 anni”.
Cosa si può fare per migliorare l’accesso delle donne alla prevenzione e alle cure?
"Le donne tendono a prendersi cura della salute dei familiari trascurando la propria. È fondamentale che i medici di base monitorino anche la loro salute. Un altro fattore di rischio importante è la solitudine, che colpisce in particolare le donne anziane. Queste, spesso, si trovano in condizioni economiche svantaggiate, hanno meno occasioni di socializzazione e, se hanno vissuto a lungo in coppia, possono faticare ad adattarsi a una vita sociale senza il marito. La solitudine aumenta notevolmente il rischio di sviluppare la demenza, ma anche la mortalità. Per questo è essenziale promuovere una buona vita sociale: ben vengano, quindi, associazioni, come Alzheimer Brescia, che si occupano dei pazienti e dei loro familiari e creano momenti di aggregazione come l’Alzheimer Cafè. Serve anche attività fisica, una dieta mediterranea equilibrata e il controllo delle malattie metaboliche, come ipercolesterolemia e ipertensione”.
Quali altri aspetti della medicina di genere sono importanti nella ricerca sulle malattie neurodegenerative?
“Un dato interessante riguarda la connessione tra il ruolo sociale delle donne e la loro esposizione al rischio di demenza. L’80% dei caregiver di pazienti con Alzheimer sono donne e spesso queste donne trascurano la propria salute, hanno meno tempo per la prevenzione e per l’istruzione, che è un fattore chiave nella protezione dalla demenza. Inoltre, la menopausa gioca un ruolo cruciale: gli estrogeni proteggono il cervello e la loro diminuzione può favorire l’insorgenza dell’Alzheimer. Anche il sistema immunitario più reattivo nelle donne può influenzare la malattia, così come la predisposizione genetica legata all’allele APOE-ε4, che aumenta il rischio nelle donne più che negli uomini”.