Screening e ricerca per combattere le malattie rare: l’aiuto della genetica

Intervista a Giuseppe Remuzzi, ricercatore e direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. "Molte hanno sintomi ben riconoscibili, per altre la diagnosi è più lunga e complessa”

di MAURIZIO MARIA FOSSATI
16 febbraio 2025
Giuseppe Remuzzi, ricercatore e direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Giuseppe Remuzzi, ricercatore e direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

In Europa viene definita rara una malattia che ha bassissima prevalenza nella popolazione: non più di 1 caso su 2mila abitanti. Si conoscono oltre 8mila malattie rare tra loro diverse e che colpiscono organi diversi.

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Professor Giuseppe Remuzzi, quali sono le malattie rare più frequenti?

"Se consideriamo la fascia pediatrica, a prevalere sono le sindromi malformative complesse, seguite dai difetti del metabolismo. Negli adulti la categoria più frequente è senza dubbio rappresentata dalle malattie del sistema nervoso".

Queste malattie si manifestano nella prima infanzia o possono avere un esordio in età più matura?

"Le malattie rare interessano tutte le fasce di età. La maggior parte delle condizioni causate da anomalie genetiche esordisce nel bambino, ma esistono anche malattie genetiche a esordio tardivo".

Gli screening durante la gravidanza e quelli neonatali possono aiutare nella diagnosi?

"Il nostro è fra i Paesi europei con il più vasto programma di screening neonatale. Negli anni lo sviluppo delle tecnologie di laboratorio ha semplificato le analisi di screening, consentendo di ampliare l’indagine fino a comprendere più di 50 malattie metaboliche rare, spesso ereditarie. La possibilità di intervenire con misure adeguate prima che una malattia si manifesti può prevenire danni altrimenti irreparabili".

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Quali potrebbero essere gli eventuali campanelli d’allarme per riconoscere una malattia rara?

"Ci sono malattie rare che si presentano con sintomi e segni facilmente riconoscibili, per molte altre il processo di diagnosi è più complesso. Oggi grazie a strumenti diagnostici sofisticati (per esempio la genetica), per molte malattie rare il processo diagnostico è più breve e lineare che in passato. Non sono però pochi i casi in cui non si giunge a una diagnosi tempestiva, tanto che si sono sviluppati in molti Paesi programmi specifici per le cosiddette ‘Malattie non diagnosticate’".

A che punto siamo con le cure? Ce ne sono di risolutive o che permettano una buona qualità della vita dei pazienti?

"A partire dagli anni ’80 sono stati messi a punto programmi di sostegno allo sviluppo di cure per le malattie rare poiché l’industria farmaceutica non è incentivata a sviluppare terapie destinate a pochi pazienti (e quindi con scarso ritorno degli ingenti investimenti). Si tratta dei programmi per lo sviluppo dei cosiddetti ‘Farmaci orfani’. Questi programmi hanno permesso la ricerca e lo sviluppo preliminare di moltissimi principi attivi, tra cui molti sono poi diventati farmaci e hanno consentito un miglioramento delle prospettive e della qualità di vita dei pazienti".

Quindi siamo sulla buona strada?

"Sì, ma con alcuni problemi: in primo luogo il numero di farmaci disponibili è in qualche modo limitato rispetto al numero grandissimo delle malattie rare. L’altro problema è il costo, che mette in difficoltà i sistemi sanitari dei Paesi ricchi e rende del tutto indisponibili i farmaci ai pazienti dei Paesi meno ricchi o decisamente poveri, sollevando una questione di equità".

Malattie diverse, ma spesso accomunate dalla difficoltà della diagnosi, mancanza di cure e carichi assistenziali. Fondamentale quindi la multidisciplinarietà degli specialisti coinvolti. A che punto siamo in Italia?

"La Rete Nazionale delle Malattie Rare, attiva nel nostro Paese dal 2001, presenta le caratteristiche per realizzare efficacemente gli interventi in favore delle persone con malattie rare. Nel 2017 si sono costituiti i 24 Network Europei di Riferimento per le Malattie Rare, formati da Centri Clinici di Eccellenza, accreditati dai 27 Ministeri della Salute, coordinati per lavorare all’ottimizzazione della diagnosi, del management, e della terapia delle malattie rare. La partecipazione italiana, in termini di numero di Centri selezionati e ammessi a far parte di ERNs, ci vede al primo posto tra gli Stati membri".

In pratica, a chi si deve rivolgere il paziente raro o i suoi familiari?

"Innanzitutto è importante rivolgersi al proprio medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta per essere indirizzati a uno dei Centri di riferimento della Rete nazionale per le malattie rare. Viene quindi avviato il percorso per definire la diagnosi e le necessità terapeutiche. Ogni Regione ha una propria Rete per le malattie rare, con Centri di Coordinamento che, fra gli altri, svolgono un importante ruolo di orientamento, sia per il malato e la sua famiglia, sia per gli operatori sanitari".

Le terapie di una malattia rara sono a carico del SSN?

"Oggi il SSN è in grado di garantire l’accesso a tutti i farmaci di provata efficacia, che hanno costi talvolta elevatissimi. Tuttavia, bisogna ricordare che spesso è l’entità dei costi assistenziali a gravare pesantemente sulle famiglie dei malati rari. E a questo riguardo le associazioni di malati rappresentano non solo un modo per chi è ammalato di condividere la propria esperienza, ma sono diventate uno strumento fondamentale di progresso in molte direzioni: dall’assistenza sociale e sanitaria, alla promozione della ricerca scientifica, alla sensibilizzazione del pubblico e delle autorità sanitarie e governative".