Francesco Musumeci «Studiamo la genetica per salvare il cuore»
La cardiochirugia ha fatto enormi passi avanti. Grazie all’innovazione tecnologica oggi possiamo scegliere trattamenti più personalizzati ed efficaci
Sulle ali della tecnologia la medicina sta facendo passi da gigante, rendendo possibile oggi quello che pochi anni fa si poteva solo immaginare. Specialmente la cardiologia è uno di quei settori che ne ha beneficiato di più, e dove l’innovazione ha abbassato drasticamente il rischio degli interventi. A spiegarlo è il professor Francesco Musumeci, dal 1998 direttore del Centro di Cardiochirurgia e dei trapianti del San Camillo di Roma. Qui, tra le tante attività, ha sviluppato un programma di cardiochirurgia mini-invasiva, robotica e trans-catetere. E che ora entra a far parte del team del Centro Cuore dell’Ismett-Upmc di Palermo, l’Istituto Mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione, assumendo il ruolo di Senior Consultant in Cardiac Surgery.
Professor Musumeci, come sono cambiate le cure per il cuore grazie alla tecnologia?
«Nell’arco di un decennio ci sono stati molte innovazioni che consentono di affrontare le patologie con interventi personalizzati, meno invasivi, con minore ospedalizzazione e complessivamente con rischi minori».
Ci parli di queste nuove frontiere
«Quando la cardiochirurgia è iniziata negli anni Cinquanta il rischio degli interventi era davvero alto. Erano pochi i pazienti che sopravvivevano. Oggi a distanza di oltre settant’anni, con l’innovazione tecnologica, l’acquisizione di conoscenze anatomiche e la messa a punto di tecniche di trattamento, la mortalità è scesa all’1-2%. Ma soprattutto, oltre all’aspettativa di vita, si può garantire anche la qualità della stessa».
Si parla sempre più spesso del concetto di terapia personalizzata.
«Proprio grazie all’innovazione tecnologica possiamo scegliere fra diverse possibilità di trattamento: terapia medica, chirurgica, transcatetere, come per esempio l’angioplastica delle coronarie. E per la personalizzazione è utile l’heart-team, il team del cuore, un concetto che si sta sempre più affermando che vuol dire mettere insieme professionisti con competenze diverse, dal cardiologo al chirurgo, del radiologo, e di altri. Per cui i singoli casi vengono valutati sulla base delle evidenze cliniche e diagnostiche, e per ognuno decisa la migliore strategia di trattamento. Così, multidisciplinarietà e personalizzazione, garantiscono il miglior risultato per quel paziente».
Le terapie transcatetere sono sempre più usate.
«Sì, perché ci consentono di affrontare, ad esempio, le patologie valvolari cardiache e coronarie, riducendo al minimo il rischio. Possiamo intervenire senza aprire il torace, avere un’incidenza traumatica più bassa, riducendo l’incidenza delle complicanze e ottenere un recupero molto più rapido. C’è anche il vantaggio estetico delle piccola cicatrice, ma principalmente con vantaggi clinici e psicologici».
Lei è un pioniere dalla chirurgia robotica.
«Sì, sono stato fra i primi a utilizzarla, prevalentemente per la valvola mitrale, anche se adesso si comincia anche per i bypass. Un altro sistema che consente al paziente di recuperare più rapidamente e ridurre la degenza ospedaliera, con vantaggi persino economici, tenuto conto che la persona è dimessa prima e fa più rapidamente ritorno alla sua vita lavorativa».
I prossimi orizzonti?
«Un grande traguardo sarà disporre del corredo genetico per sapere in anticipo la presenza di potenziali rischi, in modo da intervenire ancora prima che la malattia si manifesti. Studiando il corredo genetico, come per le patologie tumorali, anche per quelle cardiovascolari si potranno correggere i fattori di rischio».
E sul fronte dei trapianti a che punto siamo?
«I trapianti rappresentano una realtà importante. Ormai siamo lontani dai tempi di Christiaan Barnard, oggi i risultati sono eccellenti in termini di sopravvivenza e di aspettativa di vita. Passi avanti si stanno facendo nell’impianto dei cuori artificiali. Siccome i cuori sono limitati, per adesso è una terapia per stabilizzare il paziente in attesa del trapianto. Ma guardando ancora avanti, in futuro ci potranno essere soluzioni permanenti per il cuore artificiale. Ma non è ancora il momento».
Consigli per mantenere bene il cuore? Sempre gli stessi?
«Sì, un check up dopo i cinquant’anni, attenzione agli stili di vita, dal fumo alla dieta all’attività fisica. Anche se non intensa è necessario che sia regolare».
Perché questa sua partenza da Roma per Ismett-Upmc di Palermo?
«È un nuovo ruolo, un’opportunità incredibile che faccio con grande entusiasmo e che mi consente di mettere a disposizione quarant’anni di esperienza, molta della quale all’estero, per collaborare con una struttura già grande, ma che vuole crescere ed espandere. Ho lasciato l’Italia a 27 anni, sono stato 15 anni in Inghilterra dove sono stato anche primario di Cardiochirurgia all’University Hospital of Wales, in America e in Australia, passando per i migliori centri di cardiochirurgia. Poi 25 anni fa sono rientrato a Roma al San Camillo dove oltre ai trapianti, ho seguito tutto il programma dalla cardiochirurgia non invasiva e robotica. Credo che sia giusto tornare a casa e portare il mio contributo qua».
Ma davvero all’estero sono più bravi che in Italia?
«Creda, è un’idea che a volte non ha alcun riscontro. Spesso la gente va fuori e basta. Alcune strutture possono essere assolutamente eccellenti, altre no, sono ordinarie e modeste. La gente è giusto che sappia che si fa grande qualità anche in Italia».
Il profilo
Specialista in chirurgia generale e cardiochirurgia, il professor Francesco Musumeci si è formato a Londra e in Australia. Nel 1991 è stato nominato primario di cardiochirurgia all’University Hospital of Wales. Dal 1998 ha diretto il Centro di cardiochirurgia e dei trapianti dell’ospedale San Camillo di Roma, dove ha sviluppato un programma di cardiochirurgia mini invasiva, robotica e trans-catetere.
In Italia oltre 50.000 operazioni all’anno
Il professor Francesco Musumeci assumerà il ruolo di Senior Consultant in Cardiac Surgery all’Ismett- Upmc di Palermo. Oltre all’attività chirurgica svolgerà formazione medica e l’organizzazione di una rete integrata con i reparti di cardiologia, nota come Heart Team intraospedaliera. La sinergia mira a ottimizzare percorso diagnostico e terapeutico per i pazienti. «In Italia si praticano oltre 50mila operazioni cardiovascolari ogni anno – spiega Musumeci –. La buona notizia è che il tasso di mortalità si è ridotto progressivamente, nonostante oggi vengano operati al cuore pazienti sempre più anziani, con un rischio più elevato per la presenza di patologie associate. Ciò grazie all’evoluzione e miglioramento delle tecniche chirurgiche e delle modalità di assistenza. Ho accolto con entusiasmo l’invito ad unirmi alla squadra dell’ISMETT per dare un ulteriore contributo ad una formazione di altissimo livello».