Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione: iniziare dalla prevenzione
Andare oltre i sintomi con strategie (familiari e sociali) che prevengano i Dca. Ne parliamo con l’esperta Anna Ogliari dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano

La professoressa Anna Ogliari, associata di psicologia clinica all'Università Vita-Salute San Raffaele
Dopo la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, non si spengono i riflettori sul tema dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, questi disturbi rappresentano una delle cause più frequenti di disabilità nei giovani dei Paesi occidentali e sono stati inclusi fra le priorità relative alla tutela della salute mentale.
È la popolazione femminile ad esserne maggiormente colpita, anche se il numero dei maschi è in aumento. Dettaglio non trascurabile, l'età di insorgenza si sta abbassando, arrivando ad interessare, in alcuni casi, bambini di 8/9 anni. La maggior parte delle persone con disturbi dell’alimentazione non riceve una diagnosi e un trattamento adeguato. Molti casi arrivano all’osservazione clinica dopo una lunga storia di malattia, quando è più difficile ottenere una guarigione. È importante che la gente sappia che per la terapia di questi disturbi sono oggi disponibili vari trattamenti, la cui efficacia è stata documentata da studi clinici controllati.
La professoressa Anna Ogliari
, associata di psicologia clinica all'Università Vita-Salute San Raffaele, ha messo a disposizione la propria esperienza in questo campo per consentirci di realizz are una panoramica che non si focalizzi, esclusivamente, su sintomi e campanelli d'allarme; bensì che consenta di mettere in campo, in veste di azione preventiva, comportamenti virtuosi, consapevolezze ed un approccio sano alla radice. Sia a livello familiare e personale, che sociale.Professoressa Ogliari, cosa sono i disturbi dell'alimentazione e della nutrizione?
"I disturbi dell'alimentazione e della nutrizione sono patologie che investono il corpo e la mente: spesso evidenziano una compromissione sia degli aspetti che riguardano il comportamento alimentare - quindi una compromissione fisica - sia delle aree psicologiche, in cui si registra una preoccupazione eccessiva intorno alle forme corporee e al peso. Possono esprimersi in modi diversi: annoveriamo l'anoressia nervosa - che è una delle patologie più conosciute - la bulimia nervosa ed il binge eating disorder. Vi sono anche aspetti meno noti, come la sindrome selettiva dello svilupp o ARFID, che implica l’evitamento di alcuni cibi e/o di alcune consistenze cibo. Cominciano, inoltre, ad essere messi in evidenza dei quadri che riguardano la tendenza ad utilizzare esclusivamente del cibo salutare, come l'ortoressia, oppure la preoccupazione di mantenere un'alimentazione che sia ideale per il corpo, come la vigoressia”.
C'è una tipica età d'insorgenza?
“Si tratta di un problema di salute fra i più comuni fra i giovani. Abbiamo una prevalenza più alta nelle femmine, ma ciò non vuole dire che i maschi non soffrano di disturbi del comportamento alimentare. Negli ultimi anni, abbiamo osservato un aumento del numero di casi di anoressie maschili e disturbi alimentari maschili. C'è un'età di insorgenza che è abbastanza tipica, ma non si può ragionare in termini assoluti: per esempio, il binge eating disorder risulta essere molto presente anche nella popolazione adulta. Tuttavia l'età d'esordio più frequente è quella che sta intorno all'adolescenza, tra i 14 e i 16 anni. Purtroppo, negli ultimi anni, anche l'Istituto superiore di sanità indica un abbassamento dell'età d'esordio nella preadolescenza, 11 - 13 anni. Sono riportati anche casi in età pediatrica, che interessano bambini di otto/nove anni".
Vi sono dei fattori di rischio?
"Le malattie del comportamento alimentare sono patologie complesse. I fattori di rischio sono molteplici: non c'è mai un solo fattore di rischio che conduca alla malattia o un solo fattore scatenante. Solitamente si identificano degli aspetti che sono più predisponenti e che creano una suscettibilità. Fra questi possiamo annoverare, per esempio, la genetica, la familiarità, ma anche gli aspetti temperamentali e alcune caratteristiche più personali (come per esempio la tendenza al perfezionismo e la bassa autostima). Vi sono anche dei fattori più esterni alla persona come la pressione sociale, gli aspetti traumatici, ma anche la compresenza di ansia o depressione”.
Cosa è possibile fare in termini di prevenzione?
"Riuscire a prevenire dalle malattie così complesse è a sua volta molto complesso. Una buona prevenzione comincia dal riconoscimento di quelli che possono essere dei campanelli d'allarme. Per ciò che concerne gli adulti, possiamo trasmettere una consapevolezza: perché spesso conoscere aiuta a prevenire. Segnali a cui prestare attenzione sono, per esempio, il contare le calorie oppure l'ossessione per l'attività fisica; anche la tendenza a ridurre le porzioni o ad evitare alcuni cibi. Altro nodo indicativo risiede nella disregolazione del comportamento alimentare, ovvero mangiare in risposta degli stimoli emotivi. È importante valutare se ci sono cambiamenti nel peso che non sono controllabili e se compaiono dei sentimenti che hanno più a che vedere con il senso di colpa legato al cibo o una preoccupazione eccessiva per gli aspetti corporei”.
Adolescenti e giovani: quali campanelli d'allarme per i genitori?
"I disturbi del comportamento alimentare non esordiscono dal nulla. C'è un periodo molto importante nel quale è più probabile osservare una sorta di isolamento e ritiro sociale rispetto ad attività che possono essere svolte coi pari, compresa la condivisione dei pasti. Attenzione anche ad un aumento dell'irritabilità e ai cambiamenti del comportamento alimentare, soprattutto quando diventano pervasivi. I genitori possono riconoscere quindi questi campanelli d'allarme e monitorare la situazione con maggiore consapevolezza. Prevenire vuol dire innanzitutto conoscere. È fondamentale il ruolo di genitori, educatori ed insegnanti per poter riconoscere presto che cosa sta succedendo”.
Quali strategie virtuose si possono mettere in campo?
"Bisogna poter parlare in modo intelligente ai bambini, agli adolescenti e ai giovani adulti, non tanto di quali siano i disturbi del comportamento alimentare, bensì di quali sintomi portino con sé. Importante è educare le popolazioni di adolescenti o di giovani adulti ad un rapporto sano e consapevole con il cibo. Evitare di demonizzare, ma fornire una consapevolezza alimentare. Spiegare, inoltre, che spesso la nostra alimentazione può essere legata alle nostre emozioni, il che non è un problema perché è tipico degli esseri umani, ma che le emozioni non devono essere l’unico istinto che guida l’assunzione di cibo.
Vi è anche un ‘piano sociale’ di azione: insegnare ai piccoli (ed ai grandi) a non giudicare i corpi, oltre ad evitare di giudicare come le persone mangiano. Cosa vuol dire questo? Allenarsi a non essere giudicanti vuol dire allenarsi a non usare il body shaming, un aspetto che fra i bambini, gli adolescenti ed i giovani adulti, è molto impattante. Sensibilizzare, inoltre, anche a chiedere aiuto qualora compaiono dei pensieri che sono intrusivi e invasivi, in relazione al cibo ed al corpo. Dobbiamo diffondere un approccio di comprensione del legame tra cibo, mente, corpo ed emozioni, favorendo uno sviluppo del comportamento alimentare che sia consapevole e non stigmatizzato”.
Di quali strumenti terapeutici disponiamo?
“Gli strumenti terapeutici sono composti da più figure professionali. Esistono dei centri specifici ai quali rivolgersi, dove la terapia viene impostata con figure diverse. Mediche, medico psichiatriche e neuropsichiatriche, a seconda dell'età, psicologiche e nutrizionali che lavorano in equipe per poter favorire la presa in carico dei pazienti e impostare un percorso terapeutico che tenga conto di tutti i punti di vista. È necessaria anche una presa in carico psicologica o psicoterapica, che si deve adattare alle caratteristiche della persona. La terapia è un luogo di cura per il soggetto che soffre, ma diventa anche un porto sicuro per la famiglia, perché quando si ammala un paziente tutta la famiglia partecipa alla sofferenza ed alla cura”.