Diabete, raddoppiano i pazienti. L’esperta: “Servono prevenzione e screening precoci”

La medicina fa passi da gigante, ma il sistema rischia di diventare poco sostenibile. In vista della Giornata mondiale del 14 novembre, fa il punto la diabetologa Angela Girelli

di FEDERICA PACELLA
11 novembre 2024

La diabetologa Angela Girelli

Sedentarietà, cattive abitudini alimentari, oltre che fattori genetici: così in poco più di 20 anni sono raddoppiate le persone con diabete. Ne soffre tra il 6 e l’8% della popolazione, con un 95% di casi ascrivibili al diabete di tipo 2, malattia cronica non trasmissibile caratterizzata da elevati livelli di glucosio nel sangue, dovuta all'alterazione della quantità o del meccanismo d'azione dell'insulina.

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"Oggi le possibilità di cura sono migliorate, ma c’è il rischio che diventino poco sostenibili per il sistema sanitario nazionale”. Lo spiega Angela Girelli, direttrice di Medicina Generale e Diabetologia dell’Asst Spedali Civili di Brescia, in occasione della Giornata mondiale del diabete che ricorre il 14 dicembre.

"Oggi il quadro epidemiologico evidenzia l’aumento della popolazione con diabete, in particolare tipo 2. Siamo intorno al 6-8%, ma c’è anche una quota che non sa di averlo, in quanto parliamo di una patologia che può esser senza sintomi per lungo tempo, per cui chi è in buona salute può non sapere di esser in condizione di iperglicemia. Altro elemento preoccupante è il progressivo abbassamento dell’età, vediamo un aumento di persone con diabete in età giovanile”.

Le ragioni? "Alimentazione molto ricca di zuccheri e grassi e assenza di movimento sono le principali componenti. L’alimentazione ipercalorica, con l’iper-disponibilità di cibo, si aggiunge alla sedentarietà, anche tra i più piccoli”. Va bene fare sport, ma non è sufficiente per prevenire l’insorgere del diabete. “I minori, ad esempio, fanno spesso attività sportiva ma di tipo tecnico, manca l’attività fisica spontanea, la corsa, il gioco libero, che insegnano al corpo a muoversi”.

Nuovi scenari nella cura

Nell’ultimo decennio si sono fatti passi da gigante nella cura, con la comparsa di farmaci che non solo hanno l’effetto di ridurre la glicemia, ma permettono anche di ridurre le complicanze, evitando ad esempio l’ipoglicemia, riducendo i rischi di infarto, ictus, complicanze renali. Una tipologia, in particolare, di questi farmaci, gli agonisti recettoriali del GLP-1 (derivati sulla base di un ormone prodotto dall’intestino che stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone) hanno effetti benefici sulla riduzione del peso.

"Questo ha portato ad un aumento della domanda anche da parte di persone non diabetiche – sottolinea Girelli – con la conseguenza che, negli ultimi mesi, molti non li trovavano e diventava difficile proseguire la terapia”. Ma è solo un preludio di ciò che potrà accadere a breve. “Oggi tutte le major mondiali stanno investendo sulle molecole che aprono margini di cura anche sul fronte del peso – aggiunge Girelli -. Questo apre nuovi scenari, perché se consideriamo che gli obesi sono il 25-30% della popolazione, e che arriviamo al 40% con il sovrappeso, andiamo verso un problema di sostenibilità enorme, anche di equità perché non tutti possono permettersi di spendere centinaia di euro al mese”.

L’assistenza sul territorio

Dall’altra parte, la spesa rischia di essere insostenibile anche per il Servizio sanitario nazionale. La strada principe resta la prevenzione. "Serve un’azione collettiva, di educazione alimentare nelle famiglie e nelle scuole, ma anche di viabilità, perché bisognerebbe incentivare l’uso della bici nelle nostre città”. L’aumento di persone con diabete pone anche un problema di presa in carico. “L’assistenza specialistica deve essere garantita a chi ha il diabete di tipo 1, mentre riesce a seguire solo il 30-40% di persone con diabete 2, in quanto è oberata. Fondamentale è il coinvolgimento della medicina di territorio, perché solo attraverso un potenziamento dello screening precoce, dell’azione del medico di medicina generale con il supporto uno specialista, ad esempio nelle case di comunità, si può curare bene sin dall’inizio il diabete in modo da evitare le complicanze. La sfida, quindi, è l’organizzazione integrata con la medicina del territorio, un processo che è partito. Il rischio è che si vada incontro al fallimento del sistema”.