Crioterapia, una cura innovativa per il tumore al seno: "Prospettive promettenti"

La terapia del freddo è utilizzata per alcune neoplasie mammarie. Ecco i primi risultati dell’ospedale di Reggio Emilia: ne parlano i medici Rita Vacondi ed Eugenio Cenini

di MARINA SANTIN
11 agosto 2024

Evitare la chirurgia invasiva nelle pazienti con tumore al seno, ricorrendo a una particolare “terapia del freddo”. La Breast Unit dell’Azienda Usl Irccs di Reggio Emilia, al top per innovazione e ricerca, consolida l’utilizzo della crioterapia nel trattamento di alcune neoplasie mammarie, una via che i professionisti della Senologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova avevano intrapreso per primi in Italia, durante gli anni della pandemia da Covid 19, nell’ambito di questa struttura che rappresenta il fiore all’occhiello della sanità locale, regionale e nazionale, per i volumi di interventi elevati, la qualità delle prestazioni erogate e i risultati.

 

“La crioterapia è da qualche tempo utilizzata in ambito medico – spigano Rita Vacondio, responsabile del Programma Screening Mammografico ed Eugenio Cenini, chirurgo senologo, entrambi componenti della Breast Unit – inizialmente è stata impiegata per il trattamento di lesioni a carico di organi come osso, rene, prostata e fegato con buonissimi risultati. Sulla base di studi e applicazioni fatte in ambito senologico a livello internazionale, abbiamo valutato di tentarne l’utilizzo su pazienti scrupolosamente selezionate. Era l’autunno del 2019 quando abbiamo eseguito i nostri primi due casi”.

 

Di cosa si tratta e qual è il suo meccanismo d’azione?

 

“La crioterapia (o, più correttamente, crioablazione) è una metodica non chirurgica per il trattamento di alcune neoplasie mammarie. Già usata in passato per curare altri organi, ha visto negli ultimi anni l’applicazione su casi selezionati di carcinoma mammario. La tecnica si basa sul congelamento a temperature molto basse della lesione da eliminare, tramite una crio-sonda (un piccolo tubo metallico di dimensioni di poco superiori a un ago da biopsia) dalla cui estremità si genera una sfera di ghiaccio a circa -40 gradi, ottenuta mediante l’utilizzo di azoto liquido. Le bassissime temperature provocano la necrosi delle cellule neoplastiche inglobate dalla parte ghiacciata. La procedura è ecoguidata e viene eseguita da un chirurgo e un radiologo”.

 

Per quali pazienti è indicata?

 

“La chirurgia resta senz’altro il trattamento elettivo per la cura dei carcinomi mammari, ma in pazienti portatrici di patologie o condizioni che renderebbero molto rischioso o impossibile l’intervento chirurgico, la crioablazione può risultare un’alternativa molto valida, se non l’unica. A oggi nel nostro centro viene suggerita alle donne con tumore alla mammella che mostrano un alto rischio anestesiologico per la concomitante presenza di patologie importanti, in primis di tipo cardiovascolare. Sono donne per le quali è altamente rischioso affrontare un intervento chirurgico che richieda l’anestesia generale. La crioablazione viene eseguita con la sola anestesia locale nel punto di introduzione della crio-sonda e non risulta dolorosa, grazie all’azione analgesica del ghiaccio, permettendo una rapida dimissione dopo la procedura. Un trattamento decisamente meno impattante sulle co-patologie che risulta di grande beneficio nei casi di fragilità”.

 

Quali pazienti sono state trattate fino a ora e come avviene la scelta?

 

“La selezione dei casi deve essere accurata anche nel tipo di malattia da trattare: sono candidabili pazienti con lesioni uniche, di piccole dimensioni, di età anziana. Inoltre, vanno valutate anche le caratteristiche biologiche della malattia. Nel nostro centro, all’interno di riunioni multidisciplinari della Breast Unit, vengono collegialmente valutate le pazienti idonee a questo trattamento. Le pazienti sinora trattate sono prevalentemente anziane, con importanti co-morbilità. Oltre al rischio anestesiologico è fondamentale considerare la dimensione del tumore che non dovrebbe superare i 2 cm per ottenere una sicura crioablazione di tutto il tessuto tumorale. Motivo per il quale le lesioni complesse ed estese, nelle quali è difficile anche la semplice delimitazione e che mostrano, magari, anche presenza di microcalcificazioni, non sono a oggi state affrontate proprio per il rischio effettivo di non essere radicali”.

 

La Breast Unit è un’équipe multidisciplinare. Quanto è importante questo tipo di approccio?

 

“È ampiamente dimostrato che le pazienti operate di tumore mammario e prese in carico da un team multidisciplinare hanno un’aspettativa di vita superiore, con una qualità di più alto livello. Ogni donna costituisce un caso a sé ed è giusto che un pool di professionisti che si occupano quotidianamente di senologia propongano il miglior percorso di cura possibile, dalla fase diagnostica, al più corretto e preciso approccio chirurgico fino a terapie e stili di vita raccomandati per il post-intervento:”

 

Ecco, a proposito di aspettativa di vita…

 

“In provincia di Reggio Emilia la Breast Unit è nata nel 2009. I dati del Registro Tumori dell’anno 2020 mostrano che la sopravvivenza a cinque anni delle donne con tumore al seno è pari al 90% e arriva al 100% nei casi di tumori allo stadio I, vale a dire tra il 50% e il 60% dei casi diagnosticati ogni anno grazie a un’accurata prevenzione”. (*)

I dati invitano a essere ottimisti per il futuro?

 

“Le prospettive della crioablazione sono promettenti e il suo utilizzo più ampio è in fase di studio”.