Cardiochirurgia endoscopica, meno rischi per salvare il cuore
Intervista a Mattia Glauber
Un approccio più soft per gli interventi al cuore che, anche psicologicamente, sono tra i più traumatici nel vissuto dei pazienti. Con la cardiochirurgia endoscopica si può. Da nuova frontiera, la tecnica è ormai una realtà consolidata che consente di ridurre trauma chirurgico e dolore, infezioni, tempo di degenza ospedaliera e recupero post operatorio. Inoltre, le ridotte dimensioni del taglio chirurgico (di circa 3 centimetri, solitamente sotto il seno) offrono un miglior risultato estetico.
Le sale operatorie dell’Irccs nuovo ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano sono state recentemente inaugurate proprio con un intervento di riparazione mitralica con approccio endoscopico. Ne abbiamo parlato con il direttore dell’Unità operativa di cardiochirurgia mininvasiva, Mattia Glauber. Lui, con cinque colleghi di altre nazionalità, ha fondato l’Endoscopic cardiac surgeons club che ha come finalità l’insegnamento e la diffusione della consapevolezza globale dei vantaggi della cardiochirurgia endoscopica, «al fine di poterne ampliare sempre più la base l’utilizzo a vantaggio dei pazienti».
Dottore, quali sono i principali vantaggi?
«Innanzitutto l’intervento si esegue attraverso una piccola incisione dove viene introdotta una videocamera endoscopica che raggiunge il cuore e ne permette una visione completa e dettagliata. Il chirurgo lavora utilizzando specifici strumenti che consentono di operare sul cuore con la minima invasività a vantaggio del paziente».
È un modo nuovo di operare: il chirurgo lavora sul cuore osservando lo schermo collegato alla videocamera e non più guardando all’interno del torace.
«Con la piccola incisione sarebbe impossibile fare diversamente. Ma lo schermo collegato alla videocamera restituisce una visione del cuore ad alta risoluzione, molto ingrandita e particolareggiata. Questo consente gesti chirurgici estremamente precisi».
C’è un miglioramento anche rispetto alla chirurgia robotica?
«A mio parere presenta diversi vantaggi rispetto alla chirurgia robotica. Per questo vogliamo estenderne il più possibile l’utilizzo. Vent’anni fa abbiamo iniziato a selezionare i pazienti per la chirurgia mininvasiva, oggi eseguiamo routinariamente interventi endoscopici su pazienti con adeguate caratteristiche adeguate».
Quali sono i pazienti candidati alla chirurgia endoscopica?
«Il requisito resta sempre l’appropiatezza dell’indicazione all’intervento. La finestra terapeutica si sta estendendo, com’è accaduto con la chirurgia minivasiva rispetto a quella tradizionale, arrivando a comprendere i pazienti più anziani con gravi comorbidità che possono così affrontare interventi un tempo impensabili nella loro condizione di fragilità e i pazienti più giovani che possono tornare molto prima alle loro attività, rispetto alle otto settimane necessarie, in media, per il recupero e la riabilitazione dopo un intervento tradizionale».
La cardiochirurgia mininvasiva ha ridotto la mortalità intra e post operatoria: quali sono le ragioni principali?
«Questa tecnica chirurgica impatta in maniera molto lieve sui tessuti e le strutture ossee e muscolari, consentendo ottimi risultati in termini di riduzione della mortalità e delle complicanze che possono prolungare la degenza e il recupero post operatorio. Del resto, risultati straordinari nella riduzione della mortalità, intra e post operatoria, si sono registrati anche nella chirurgia tradizionale».
Anche gli strumenti di ultima generazione rappresentano un importante contributo.
«Sicuramente lo studio preoperatorio con le nuove tecniche di Tac e Risonanza ad alta risoluzione consentono di avere tutte le informazioni per pianificare e simulare gli interventi chirurgici, in particolare quelli con approccio mininvasivo. Il miglioramento della risoluzione delle immagini dell’ecografia intraoperatoria anche in 3D oggi è potenziato da software di realtà aumentata, che consentono una visione dei dettagli una volta impensabile. Possiamo dire che la tecnologia ci consente ormai interventi su misura, in relazione alla condizione patologica del paziente».
Si sono evolute anche le tecnmiche di anestesia…
«Sicuramente un passo importantissimo che si affianca all’innovazione della strumentazione chirurgica. L’utilizzo di tecnologia transcatetere e di dispositivi sempre più innovativi consentono ai chirurghi di effettuare procedure sempre meno invasive. Un’ultima cosa, ma importante: i progressi della cardiochirurgia tradizionale e mininvasiva consentono, inoltre, di diminuire drasticamente le trasfusioni di sangue e i tempi di circolazione extracorporea, pratiche entrambe statisticamente associate alla mortalità».
L’approccio multidisciplinare per alcune patologie vascolari dell’arco aortico, come l’aneurisma, può ridurre ulteriormente l’invasività dell’intervento?
«L’approccio multidisciplinare è fondamentale: la discussione collegiale e la collaborazione tra specialisti in diverse aree della medicina e della chirurgia sono elementi imprescindibili dell’etica professionale, per eseguire trattamenti sempre più personalizzati, che tengano conto dell’unicità e della specificità di ogni paziente. In parole semplici, se la cura delle patologie cardiache nei pazienti più giovani deve tendere al risultato più duraturo possibile, nei più anziani deve mirare al trattamento delle patologie associate, molto diffuse nei soggetti più fragili».
Profilo biografico
Mattia Glauber è responsabile dell’Unità operativa di cardiochirurgia mininvasiva dell’Irccs nuovo ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano. Con un’esperienza di oltre 15mila interventi, di cui oltre 5mila con approccio mininvasivo, è considerato un punto di riferimento internazionale per la cardiochirurgia mininvasiva. È autore e coautore di circa 300 pubblicazioni scientifiche.
L’evoluzione della tecnologia
La chirurgia mininvasiva, mediante piccole incisioni sul torace, può essere eseguita nelle seguenti patologie: valvulopatie aortiche, valvulopatie mitraliche, valvulopatie tricuspidaliche, aneurismi dell’aorta ascendente. Ma anche malattia coronarica, compreso prelievo endoscopico della vena safena, difetti congeniti del cuore, cardiomiopatia ipertrofica, tumori cardiaci (mixomi) e aritmie cardiache (come la fibrillazione atriale).
Con un approccio mininvasivo è poi possibile trattare, attraverso la stessa incisione, più valvole contemporaneamente (ad esempio aortica e mitrale); inoltre è possibile trattare patologie valvolari associate a coronaropatia con tecnica ibrida (chirurgia mini invasiva per correggere il difetto valvolare e angioplastica coronarica con tecnica percutanea). La riparazione della valvola mitralica è uno degli interventi più frequenti. L’evoluzione della tecnica chirurgica negli ultimi anni è stata significativa: Grazie alla tecnologia. Con il passaggio dal 3D al 4K ha consentito una definizione inimmaginabile in passato.