Amiloidosi, il drammatico racconto di un paziente: “Vi racconto come cambia la vita con la malattia di Oliviero Toscani”

Andrea Vaccari ha iniziato ad avere i primi sintomi della patologia di Oliviero Toscani 15 anni fa: ha fondato l’associazione Famy per sostenere malati e famiglie

di FEDERICA PACELLA
14 gennaio 2025

Un uomo senza paura. Così si definisce Andrea Vaccari, ma il coraggio (che pure non gli manca) non c’entra nulla. C’entra, invece, una malattia, rara e terribile: la amiloidosi, che gli italiani hanno imparato a conoscere a causa del ricovero prima, della morte dopo, di Olivero Toscani.

Vaccari la sua diagnosi l’ha avuta a 20 anni, quando, in vista di programmare il suo futuro lavorativo e famigliare, ha deciso di sottoporsi al test che poteva rivelargli se avesse ereditato la malattia che aveva già colpito sua madre, sua zia, sua cugina. "I miei sapevano che ero portatore sano, ma non me lo avevano detto. A 20 anni la diagnosi fu positiva, ma pensavo che comunque avrei avuto una vita davanti, almeno altri 20 anni, prima che si sviluppassero i sintomi. Mi dissi che, in quel lasso di tempo, l’uomo avrebbe imparato ad andare sulla Luna a fare l’happy hour. Non è stato proprio così”.

Andrea Vaccari, malato di amiloidosi e presidente dell'associazioen Famy
Andrea Vaccari, malato di amiloidosi e presidente dell'associazioen Famy

Amiloidosi: i primi sintomi 15 anni fa

I primi sintomi sono comparsi una quindicina di anni fa, intorno ai 40 anni. Dolori lancinanti, che si presentavano puntualmente di notte, impedendogli di dormire. “Era come se avessi centinaia di chiodi piantati nelle ossa. Appena mi addormentavo, arrivavano. Facevo salti alti un metro, a un certo punto inizi anche ad avere una paura indescrivibile di dormire, perché proprio quando il riposo dovrebbe aiutarti, il tuo corpo inizia ad avvertirti che non funziona niente”. E poi il corpo inizia a rispondere a logiche diverse da quelle normali. “Quando una persona si spaventa, il cervello dà gli impulsi per far sì che il cuore batta più forte, perché i muscoli entrino in azione per difendersi. Nel mio caso, non succede nulla di tutto questo, per questo dico che sono un uomo senza paura, non prendo spaventi”.

Dalla malattia all’impegno per i malati: l’associazione Famy

Grande impegno di Vaccari è l’associazione Famy, di cui è presidente. Si tratta di una delle pochissime onlus che si occupano di amiloidosi, fino a pochi anni fa ce n’erano solo tre in tutta Europa. Nata nel 2013 grazie alla collaborazione di un piccolo gruppo di pazienti e familiari con l’obiettivo comune di sostenere, ascoltare, informare, mette a disposizione il tempo e l’esperienza dei propri soci per supportare pazienti e familiari. Promuove anche l’informazione in modo da accorciare sempre di più i tempi di diagnosi e si fa portavoce delle difficoltà dei malati in sede istituzionale e ne tutela i diritti. “Quando abbiamo mosso i primi passi, eravamo soprattutto interessati a capire a che punto era l’Italia rispetto ad Europa e Stati Uniti, con la ricerca. Abbiamo visto che la situazione italiana era interessante, eravamo ai livelli massimi mondiali”.

Un conto è la ricerca, un altro la quotidianità della malattia. L’associazione è anche punto di riferimento per i malati trasparenti, che, quando non riescono più a muoversi scompaiono. L’unico legame col mondo resta la visita semestrale prevista dai centri che si occupano di amiloidosi, ma per la quale serve il trasporto con ambulanza. “Noi ce ne occupiamo, quando veniamo a saperlo, perché queste persone restano altrimenti invisibili”.

Amiloiodosi, quelle ‘microplastiche’ nel sangue

Sono diverse le forme di amiloidosi. Quella di Vaccari è una ereditaria, particolarmente rara (1000 persone in Italia), la amiloiodosi cardiaca Al. Altra forma diffusa è la amiloidosi wild type. Tra le due, la differenza sostanziale è che la seconda colpisce sostanzialmente il cuore, mentre nella prima si aggiunge anche l’aspetto neurologico. In sostanza, l’amiloidosi è una proteina generata dal fegato, una sorta di “x”, un quadrifoglio che si accartoccia su sè stesso. “I petali si staccano – racconta Vaccari in modo molto pragmatico – e diventano come alghe, che poi si attaccano tra loro e si trasformano in polimero, impossibile da distruggere. Entrando in circolazione, si attaccano ai nervi e cominciano a strozzarli. Bisogna immaginare questa guaina di plastica colorata che ricopre e fa morire il nervo”.

Gravissimi i danni al cuore, soprattutto all’atrio sinistro. "Questi pezzettini di plastica vanno ad attaccarsi alla valvola e ad inspessire le pareti del cuore, che diventa un pallone da calcio anziché essere una pallina da tennis, ma con una portata inferiore, che pompa molto meno sangue”. Ecco allora che inizia la tachicardia come risposta iniziale, poi sopraggiunge la stanchezza, la mancanza di respiro, l’invecchiamento precoce.

Sintomi e ritardi nelle diagnosi

Le avvisaglie sono tante: dolori reumatici, problemi di vista, di cuore. Tutti sintomi, però, che spesso vengono confusi con gli acciacchi dell’età. “In genere compaiono dopo i 60 anni, per cui vengono imputati all’età. È difficile che, in caso di ricovero, un medico ospedaliero se ne accorga. Per questo come associazione ci battiamo per la formazione dei medici di medicina generale, devono essere loro ad accorgersene perché conoscono i pazienti, la loro storia e possono quindi riconoscere i sintomi”. Avere una diagnosi precoce non è impossibile, quindi, e può fare la differenza per i malati

La cura: farmaci gratuit’, ma solo fino a 82 anni

In Italia si stima che sino 20-30 mila le persone affette da questa malattia, ma solo il 15-20% è stato diagnosticato, per un totale di circa 4mila persone in cura. Sulla spinta delle case farmaceutiche, la ricerca c’è ed anche di buon livello. Oggi esiste un farmaco, approvato per la wild type, non testata sugli “ereditari”. La cura ha una funzione di stabilizzazione se il trattamento parte nella fase iniziale della malattia, per situazioni non critiche.

Il punto è che i costi sono altissimi: si parla di 350-450 mila euro all’anno per ogni persona malata di amiloidosi. Per questo, le Regioni hanno posto dei paletti per la copertura dei costi dei farmaci: dagli 82 anni in su, si è fuori dall’erogazione a carico del servizio sanitario nazionale.

“Da una parte c’è l’esigenza di mantenere la sostenibilità della sanità, perché si parla di milioni di euro all’anno. Dall’altra, ciò significa che una persona, magari un professionista che smette di lavorare in tarda età e che quindi ha pagato fior fiore di contributi, se si ammala dopo una certa età non ha neanche diritto al farmaco".

Non solo. "Tutti gli ultra-95enni hanno un po’ di amiloiodosi: è quello che fa cedere il muscolo e che a un certo punto aiuta a spegnersi. Per questo, è stata tirata fuori la giustificazione, inaccettabile per un’associazione, di mettere un target, un limite di età di 82 anni, per timore di dover fornire il farmaco a tutti".

L’impatto sulla vita familiare

Non c’è solo il dolore fisico, le tribolazioni per la diagnosi, le cure che, a una certa età, si interrompono. Chi è colpito della malattia deve convivere con un inquilino indesiderato, che impatta anche sulla vita quotidiana, nel bene e nel male, soprattutto nei rapporti con la famiglia. "È molto difficile che un rapporto di coppia sopravviva a questa malattia, è durissima per un compagno o una compagna stare con una persona con amiloidosi”. D’altra parte, la malattia porta anche a prendere scelte importanti.

Vaccari, che nel suo ‘curriculum’ ha anche due trapianti epatici, ha lavorato fino a tre mesi fa. “Ho smesso, perché ho fatto qualche considerazione, ovvero che la mia vita sarà tendenzialmente più breve del normale. Preferisco stare con i miei figli, che hanno 18 e 20 anni, finché posso".