Alessandro Gasbarrini «Così salviamo la colonna vertebrale»
«In tutta la nuova chirurgia ortopedica l’obiettivo è ridurre le complicanze. Risultati sorprendenti dai primi trapianti per patologie oncologiche»
Problemi alla colonna vertebrale: scoliosi, ernia del disco, fratture, artrosi, dolori da infiammazioni, tumori.
Quando è opportuno rivolgersi a un chirurgo vertebrale per una patologia degenerativa?
«Il più tardi possibile – risponde sorridendo risponde Alessandro Gasbarrini, direttore della struttura complessa di Chirurgia vertebrale dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna – perché prima è opportuno fare un percorso dove si mettono in campo le strategie per raggiungere la guarigione senza l’uso del bisturi. Si va dalla terapia farmacologica a quella riabilitativa, cercando di modificare tutto quello che ha portato alla patologia, come un aumento ponderale, una muscolatura non idonea o posture scorrette».
Ernia del disco: si va sempre in sala operatoria?
«No. Il più delle volte la compressione si risolve naturalmente con la disidratazione dell’ernia, che si riduce di volume in maniera naturale. Quando questo non accade o c’è un deficit neurologico, si può operare, ma nella maniera meno invasiva possibile. Nel nostro reparto cerchiamo di intervenire per via endoscopica con un piccolo taglio».
Quattro anni fa il primo trapianto al mondo di vertebre umane, conservate nella Banca del tessuto muscolo-scheletrico dell’Emilia-Romagna, al Rizzoli, sono state utilizzate per sostituire la parte di colonna vertebrale rimossa per un tumore di un anziano. La ricostruzione biologica come procede?
«Quello che stiamo facendo ora è di associare un innesto di osso di banca a un trapianto vascolarizzato, ossia a un osso vitale prelevato dal paziente stesso e messo al posto della vertebra. La ricostruzione biologica permette di raggiungere una guarigione più sicura e più duratura nel minor tempo possibile. Per questi interventi abbiamo una continua collaborazione con l’Ortoplastica del nostro Istituto, diretta dal professor Marco Innocenti».
La nuova metodica è stata utilizzata anche per altri pazienti colpiti da cancro?
«Sì, in altri nove pazienti, con risultati sorprendenti, sicuramente sovrapponibili, se non migliori anche rispetto alle protesi più innovative».
Perché i risultati sono sorprendenti?
«La rapidità di ricostruzione, quindi la riduzione dei tempi operatori, e la rigenerazione più precoce, portano a una guarigione più veloce. E quindi i pazienti possono iniziare prima la chemio e la radioterapia».
Oltre l’innovazione tecnologica, di che cosa ha bisogno la chirurgia vertebrale oncologica?
«Della continua collaborazione fra oncologi, radioterapisti e chirurghi vertebrali: questa è un’arma fondamentale per ottenere il migliore risultato».
Le deformità della colonna vertebrale oggi come si affrontano?
«Cercare di ridurre le complicazioni è l’obiettivo di tutta la nuova chirurgia vertebrale. Questo vale in particolare per deformità che, spesso, riguardano bambini o ragazzi: quando li operiamo, il più delle volte non hanno ancora un problema funzionale, ma l’intervento serve per prevenire le patologie più gravi che possono insorgere».
La scoliosi è ancora frequente tra i ragazzi?
«La scoliosi classica adolescenziale, detta anche scoliosi idiopatica, è molto frequente, ma con lo screening dei pediatri si scopre precocemente e quasi sempre si riesce a curare con la ginnastica, la fisioterapia o l’uso di busti, senza arrivare all’intervento».
Patologie infettive vertebrali: quando si arriva all’intervento chirurgico?
«Molto spesso, in particolare in pazienti immunodepressi e affetti da infezioni, per via ematogena, ossia attraverso il sangue, si infettano i dischi o le vertebre, oppure entrambi. Il più delle volte il nostro compito è quello di stabilizzare il segmento infetto, con impianti mini-invasivi, per permettere agli antibiotici di guarire l’infezione. Ma, a volte, nelle situazioni più ostili, bisogna eseguire una pulizia chirurgica».
Come è cambiata la chirurgia con l’avvento del robot?
«Per ora, il robot non è in grado di sostituire l’uomo e, probabilmente, non lo sarà mai. Però rende il chirurgo un superuomo con una vista migliore, maggiore resistenza e accuratezza. Il nostro robot, in particolare, ci permette di navigare all’interno del corpo ed è dotato di un braccio meccanico che indica dove andare e a quale profondità. L’uso del robot, per questi motivi, in futuro verrà incrementato».
Ci sono altre innovazioni in vista?
«Le innovazioni non riguardano solo la parte chirurgica, oltre al robot penso alle protesi stampate in 3D e alla realtà aumentata. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che noi operiamo un segmento che contiene il midollo e le strutture nervose, quindi in sala è essenziale il monitoraggio neurofisiologico. Inoltre, sono le nuove tecniche anestesiologiche che ci hanno permesso di eseguire operazioni molto lunghe e impegnative, mantenendo il paziente stabile per tutta la durata dell’intervento».
Il profilo
Alessandro Gasbarrini, 56 anni, bolognese, sposato, padre di 4 figli e nonno di tre nipoti, si è laureato all’Alma Mater, dove si è anche specializzato in Ortopedia. Tra i primi incarichi, quello al Service des Urgences nel Cto di Strasburgo. Dal 1998 al Maggiore di Bologna, passa dal 2009 al Rizzoli. Per insegnare tecniche innovative, è stato chiamato a operare all’estero, in Israele, in Spagna, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e in Sudamerica.
Chirurgia vertebrale al Rizzoli, mille pazienti all’anno
«La mia équipe opera circa mille pazienti all’anno, tra di loro il 65% proviene da fuori regione, il 30% vive in Emilia-Romagna e il 5% dall’estero». È il bilancio di Alessandro Gasbarrini, direttore della struttura complessa di Chirurgia vertebrale del Rizzoli. La divisione è dedicata alla diagnosi e al trattamento delle malattie del rachide. L’attività clinica è svolta dai 15 chirurghi ortopedici del reparto, che coprono tutta la patologia vertebrale.
La struttura è specializzata in numerose tecniche chirurgiche e strumentazioni innovative che consentono di intervenire sia con procedure chirurgiche radicali sia mini-invasive, ed è anche apripista nello sviluppo di protesi vertebrali ’custom-made’ in titanio, create su misura, con stampa 3D, a partire dalle immagini Tac pre-operatorie del paziente. Intensa l’attività di ricerca svolta insieme ai laboratori del Rizzoli, in particolare sulla medicina rigenerativa e i biomateriali.