Lunedì 23 Dicembre 2024
ALESSANDRO MALPELO
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Coronavirus, rischio seconda ondata. Crisanti: "Ecco come combatterla"

La ricetta del virologo dell'Università di Padova, lo stratega del modello Veneto dell’emergenza Covid

Coronavirus, analisi dei tamponi (Ansa)

Milano, 20 aprile 2020 - Dobbiamo imparare a convivere con il Coronavirus, perché il rischio esiste e possiamo affrontarlo con gli strumenti giusti, decisamente, senza nascondersi. Questa la filosofia del modello Veneto, una via efficace per spegnere l'incendio sul nascere. Andrea Crisanti dirige la microbiologia dell'Azienda ospedaliera universitaria di Padova. Da pochi mesi, forte dell’esperienza maturata all’Imperial College di Londra, ha rilevato l’eredità del grande virologo Giorgio Palù.

Professor Crisanti, ci dobbiamo aspettare una seconda ondata o l’epidemia perderà forza?

Nella fase 2 ci saranno molte più occasioni di trasmissione del virus. Venendo meno le misure di contenimento, nuovi focolai verranno fuori sicuramente. Occorre prepararsi alle inevitabili conseguenze. I fondamentali? Protezioni, sanificazione, tamponi. E la capacità di reazione immediata che abbiamo messo a punto”.

Dunque il rischio Covid-19 sarà inevitabile?

Rischio zero non esiste, specialmente in situazioni del genere. Per agire occorre sapere quanti casi si verificano ogni giorno, e dove si distribuiscono. Ora che andiamo incontro a una riapertura caotica dobbiamo essere a maggior ragione preparati”.

Cosa comporta la riapertura caotica cui lei fa riferimento?

Comporta un rischio di ripresa localizzata del fenomeno, se non addirittura un interessamento di aree più vaste”.

Come ci si prepara, coprendosi tutti naso e bocca? Cosa dice l'Oms?

Guardi, le mascherine, se indossate da tutti, fanno effetto, glielo posso assicurare. Noi abbiamo documentato casi di persone in ospedale, poi risultate positive, che avevano indossato la mascherina, e non si è infettato nessuno. Abbiamo sempre imposto la protezione a tutti, secondo il principio di precauzione”.

Quindi mascherine, distanziamento anche all’aperto, scrupolosa igiene delle mani e degli ambienti...

I risultati si ottengono applicando norme tutto sommato abbastanza semplici. Si deve incrementare la capacità di fare tamponi, perché solo attraverso i tamponi riesci poi a capire chi è infetto e chi no, allo stesso tempo occorre implementare misure simili a quelle viste a Vò”.

Se si ripresenta un caso simile, in un altro paese o in un quartiere di una grande città?

Noi la ricetta per spegnere i focolai ce l’abbiamo, e l’abbiamo messa in pratica: si tratta di circoscrivere rapidamente l’area, fare tamponi a tutti subito, isolare i positivi, ripetere l’operazione dopo 7-8 giorni per agguantare i casi che dovessero essere sfuggiti alla prima osservazione. Chiudi, e il cluster finisce. Ma bisogna essere preparati, avere la capacità di fare esami. Stesso discorso vale per le fabbriche”.

Come garantire la ripresa della produzione industriale?

Se vogliamo riaprire le fabbriche è opportuno capire chi sono gli individui a rischio, predisporre la capacità di fare tamponi, per verificare se qualcuno nel frattempo è infetto. La Regione Veneto si è mossa in questa direzione, con importantissimi investimenti per aumentare la capacità di fare grossi volumi di esami. All’inizio avevamo un arretrato di settemila tamponi, ora nessun arretrato, significa che questi investimenti hanno dato i loro frutti. Altro elemento della preparazione è la tracciabilità”.

In che senso, dovremo essere tutti monitorati per il Coronavirus?

Vede, fintanto che siamo tutti chiusi in casa la situazione si risolve. Ma nel momento in cui ricominceremo a muoverci, la tracciabilità acquista un significato importante”.

A Padova, città laboratorio, le corsie degli ospedali sono libere, escono referti in quantità industriali. Come fate?

Abbiamo fatto delle scelte coraggiose fin dall’inizio, come quella di fabbricare i test per conto nostro, validando i risultati iniziali con quelli dello Spallanzani. In ospedale a Padova abbiamo 8mila dipendenti, 1.800 letti, 12mila visitatori al giorno. In otto settimane solo 45 casi di infezione, quasi nessuno l’ha presa dentro l’ospedale. Significa che questo sistema funziona”.

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