Roma, 25 maggio 2020 - Professor Palù, con zero nuovi arrivi in terapia intensiva per Coronavirus si potrebbe pensare ragionevolmente che il peggio è alle spalle. Lei è consulente del Veneto, si avverte nelle regioni il rischio di una seconda ondata?
“Se avessimo dovuto vedere qualche segnale preoccupante, questo ormai si sarebbe delineato – risponde Giorgio Palù, past president della Società europea di virologia – consideriamo che un rilascio parziale del lockdown è iniziato il 4 maggio, altre aperture proseguiranno, anche se divertimenti, teatri, avvenimenti sportivi sono ancora interdetti”.
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Possiamo escludere un ritorno di fiamma?
“Sono passati più di 14 giorni, che è il periodo di incubazione, direi che la tanto temuta esplosione non c'è stata. Abbiamo anzi avuto un rallentamento generalizzato dell'Rt, cioè dell'indice di riproduzione basale del virus, ma non deve essere l'indice di contagio a determinare le riaperture nelle regioni, ci sono anche altri indicatori. Adesso sappiamo dai dati epidemiologici che in Lombardia il virus è circolato nel 10-15 per cento della popolazione, in altre regioni il 3 per cento. Se prendiamo l'Italia nel complesso, ben più del 90 per cento della popolazione è ancora esposta, quindi il problema di una riaccensione c'è sempre. Ma i numeri importanti sono anche quelli del calo dei ricoverati nelle rianimazioni, e della positività dei tamponi (meno dell'1 per cento), che vanno considerati”.
Segno che questa infezione abbiamo imparato a conoscerla.
“Sappiamo che c'è una risposta immunitaria anche nei confronti del sars-CoV-2. Un lavoro dell'Università di California, e un altro della Charité di Berlino, documentano cellule T memoria circolanti che inducono la produzione di anticorpi cross reattivi contro virus del raffreddore e virus della Sars, e riconoscono anche la porzione S2 di Sars-CoV-2”.
Cioè in autunno saremo più pronti a reagire?
“In un certo senso stiamo imparando a conoscere l'importanza dell'immunità cellulare nell'eliminare l'infezione in atto”.
La dinamica delle riaperture quindi può tenere conto della minore lesività del virus.
“Un conto è avere meno casi in terapia intensiva, altra cosa sostenere che il virus perda patogenicità. Abbiamo imparato a curare meglio i Covid-19, sappiamo che la battaglia si gioca nei primi giorni, gli antivirali vanno impiegati precocemente, altrimenti dalle mucose respiratorie l'infezione scende ai polmoni, con conseguenze peggiori dell'influenza, poi il virus può passare circolo e agli organi interni suscitando una infiammazione diffusa che porta a microtromboembolie”.
Quali altri indicatori fanno ben sperare?
“Il calo dei nuovi casi, un andamento discendente della curva. Siamo scesi sotto 1 nell'indice dei contagi”.
Meno ossessionati dalle misure?
“Non abbiamo la certezza che l'epidemia sia estinta, quindi continuiamo a mantenere tutte le precauzioni. Ma dobbiamo anche sveltire la burocrazia”.
Che cosa può fare la differenza?
“La capacità di reazione. Nella nostra regione abbiamo una anagrafe epidemiologica e biologica di tutti i casi, una mappatura dei contatti condominio per condominio, e una capacità di intervenire immediatamente”.