Memoria di ferro, gene speciale protegge dall’Alzheimer
La sequenza del Dna che preserva da malattie neurodegenerative è presente solo negli esseri umani
Le malattie neurodegenerative, come la malattia di Alzheimer, il Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica, colpiscono il cervello e il sistema nervoso centrale, portando a una graduale perdita delle funzioni cognitive, motorie e altre funzioni del corpo. I ricercatori dell’Università di Buffalo hanno scoperto che la forma attiva di un gene presente nel 75% della popolazione umana può proteggere le cellule cerebrali dal processo di neurodegenerazione. I risultati della loro indagine sono stati pubblicati a luglio 2023 sulla rivista eBiomedicine.
Actina
Nello specifico, quello che il nuovo studio americano ha messo in evidenza è il modo in cui la forma attiva di CHRFAM7A contribuisce a rafforzare la struttura cerebrale a livello neuroprotettivo, proteggendo dunque da malattie come l’Alzheimer. La forma attiva del gene CHRFAM7A mette in funzione il citoscheletro di actina, una rete tridimensionale di filamenti costituiti principalmente dall’omonima proteina. Quest’ultima fornisce un supporto strutturale alle cellule, aiutando le cellule cerebrali a diventare più resistenti alla rigidità e dunque a essere più flessibili.
Autore di punta dello studio è Kinga Szigeti, professoressa di neurologia presso la Jacobs School of Medicine and Biomedical Sciences e direttore del Centro per l’Alzheimer e i Disturbi della Memoria dell’Università di Buffalo. Ha spiegato la neurologa: “L’actina funziona come le travi in una casa. Fornisce supporto alle cellule nel citoscheletro, che è la struttura della cellula”. “Il 75% delle persone presentano la versione attiva di CHRFAM7A, il che permetterebbe ai neuroni di costruire connessioni più forti e di adattarsi meglio ai cambiamenti nell’ambiente cerebrale”.
Cervello
Il gene in questione, CHRFAM7A, è una particolare sequenza di DNA presente nel genoma umano, ed è un mix tra una variante di un gene che codifica il recettore Alpha 7 dell’acetilcolina – un neurotrasmettitore coinvolto nella memoria e nell’apprendimento, da tempo associato all’Alzheimer – e un tipo di enzima detto chinasi.
Tre quarti della popolazione hanno la versione attiva di questo gene, che invece è assente nel 25% degli esseri umani. “Se non si ha CHRFAM7A, o se esso è presente in scarse quantità, si ha un rischio maggiore di sviluppare l’Alzheimer perché il cervello è strutturalmente meno solido”. La presenza e il ruolo del gene CHRFAM7A hanno a che vedere anche con disturbi neuropsichiatrici come la schizofrenia e il disturbo bipolare.
Homo sapiens
Un altro aspetto che emerge dallo studio degli scienziati di Buffalo è che solo gli esseri umani hanno questo gene, che invece non è presente negli animali. La maggior parte dei farmaci attuali formulati per contrastare le malattie neurodegenerative si basano su modelli animali e sulle sperimentazioni sui topi che però, come ha sottolineato la ricercatrice, presentano un’alterazione del recettore Alpha 7 per l’acetilcolina rispetto a quanto accade negli esseri umani. In futuro la ricerca neuroscientifica potrebbe colmare anche questo divario.