Adolescenti ribelli? Dipende da come si vedono allo specchio

Il 60% dei ragazzo che si sentono in sovrappeso non lo sono. Ma la percezione può influire sul rischio di cyberbullismo e autolesionismo. Una ricerca spiega perché

di MARINA SANTIN
18 febbraio 2025
Adolescenti ribelli

Adolescenti ribelli

Gli adolescenti allo specchio si vedono brutti, grassi e con un’infinità di difetti. E i dati confermano che davvero si sentono così. Secondo l’ultima indagine HBCS (Health Behaviour in School-Aged Children) dell’OMS, che ha coinvolto quasi 300.000 ragazzi di 11, 13 e 15 anni, quasi un terzo (29%) si percepisce troppo grasso. Una preoccupazione che cresce con l’età ed è maggiore tra le ragazze, dove raggiunge un picco a 15 anni (38%), e minore tra i ragazzi di 11 e 15 anni (23%).

Tuttavia, sei adolescenti su dieci tra quelli che si sentono in sovrappeso, in realtà, non lo sono affatto. Ma se questo loro atteggiamento è temporaneo e strettamente connesso al momento complicato di vita che stanno attraversando, è innegabile che può anche avere gravi conseguenze. Non solo può creare disagi psicologici, ma anche sfociare in problemi più profondi come dismorfofobia e DCA, disturbi del comportamento alimentare o, addirittura, autolesionismo e intenzioni suicide.

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Rischio di autolesionismo triplicato  

Secondo un nuovo studio condotto dall'University of Texas ad Arlington infatti, gli adolescenti che si percepiscono in sovrappeso sono tre volte più propensi a considerare di commettere atti di autolesionismo rispetto a quelli che non lo fanno, indipendentemente dal fatto che siano o meno oggettivamente con qualche chilo di troppo.

“Quello che abbiamo scoperto - spiega il dott. Philip Baiden, professore associato di lavoro sociale presso l’UTA e autore principale dello studio - è che la percezione di essere in sovrappeso ha un effetto molto più forte di ideazione suicida rispetto alla misura oggettiva del peso”. Inoltre, sottolinea che “questo risultato è un ulteriore prova che va a supportare le recenti richieste di riconsiderare quanto il BMI sia accurato come strumento per la diagnosi di sovrappeso o obesità”.

Non una crociata contro la musica trap, ma un invito all’ascolto consapevole rivolto a tutti coloro che si occupano di educazione. Un messaggio forte che arriva, in modo del tutto inedito, da un gruppo di pediatri di diverse regioni d’Italia. A unirli, la consapevolezza che i testi violenti, veicolati dalla musica, hanno un impatto sul benessere dei minori, sulla loro crescita, sul modo di rapportarsi agli altri. 

iente lezioni accademiche né 'spiegoni': per far arrivare il messaggio dritto e chiaro hanno usato i social e un video, in cui mettono a confronto testi di canzoni ‘positive’, che invitano al rispetto ed all’amore, con testi intrisi di violenza. "L’idea – spiega Lisa Mastrangelo, pediatra foggiana, nota sui social anche per la pagina ‘Una pediatra per te’ – è nata dalla mia personale esperienza di mamma. I miei bambini canticchiano queste canzoni dai testi discutibili, per cui è nato l’allarme personale di madre, che poi ho condiviso con i colleghi. Vero è che noi pediatri siamo un po’ delle sentinelle, per il nostro ruolo raccogliamo le paure dei genitori. Da qui abbiamo deciso di non limitarci a parlare tra di noi, ma di condividere il nostro pensiero".

Lo studio  

Lo studio, pubblicato sulla rivista Psychiatry Research, è stato condotto dal dott. Baiden assieme a Catherine LaBrenz, professoressa di lavoro sociale dell'UTA, e ai ricercatori della UT Dallas, della Texas Woman’s University, della Florida International University, della New York University, della Simmons University e dell'Università del Ghana. Il team di esperti ha analizzato i dati di oltre 39.000 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni forniti dal Center for Disease Control and Prevention's Youth Behavior Risk Survey, che, relativi agli anni dal 2015 al 2021, includevano sia informazioni auto-segnalate dagli adolescenti, sia ottenute da caregiver e registri scolastici.

Questo approccio globale che ha preso in considerazione fattori come lo status socio-economico, le dinamiche familiari, le pressioni accademiche e le esperienze negative dell'infanzia, ha permesso ai ricercatori di identificare la relazione tra la percezione del peso e l'aumento della probabilità di problemi di salute mentale.

Anche dopo aver corretto i fattori di rischio stabiliti per l'ideazione suicida, come sentimenti di disperazione, bullismo, cyberbullismo, uso di sostanze e variabili demografiche, puntualizza la professoressa

LaBrenz, coautore dello studio - abbiamo trovato una connessione tra il modo in cui gli adolescenti si sentono in relazione al proprio peso e il considerare eventuali atti di autolesionismo”. Inoltre, spiega, “abbiamo anche scoperto che le femmine sono più a rischio di maschi nel percepirsi in sovrappeso”.  

Il ruolo della famiglia e della scuola  

L’indagine evidenzia anche il ruolo fondamentale delle scuole, delle famiglie e delle comunità nel creare ambienti che possano aiutare gli adolescenti a migliorare la percezione di sé, promuovendo un'atmosfera positiva e inclusiva e offrendo loro preziose risorse per tutelare la loro salute mentale.

"Investendo in misure preventive e programmi di intervento precoce - specifica il dott. Baiden - è possibile ridurre l'onere a lungo termine sul sistema sanitario e migliorare la qualità della vita per i giovani”.