Tonno in scatola o fresco? Ecco le differenze sulla salute
Una ricerca scientifica ha analizzato l’impatto di una dieta a base di pesce, mettendo a confronto i prodotti conservati con quelli appena pescati. Ecco i risultati su sangue e metabolismo
Diverse organizzazioni nazionali e internazionali hanno fornito raccomandazioni sulle quantità ottimali di pesce che la popolazione dovrebbe consumare. In particolare, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha dichiarato che i benefici del consumo di pesce si ottengono con 1-4 porzioni a settimana (Efsa 2015) e ha fissato un'assunzione adeguata di 250 mg di acidi grassi omega-3 per gli adulti sulla base di considerazioni cardiovascolari (Efsa, 2010). Per raggiungere la raccomandazione dietetica, il pesce viene consumato sia fresco che in scatola. Ed il consumo di pesce in scatola sta crescendo in tutto il mondo, probabilmente grazie alla facilità d'uso e all'accessibilità economica di questi prodotti, reperibili in tutti i supermercati. Ad esempio, in Italia il consumo giornaliero di pesce in scatola da parte dei consumatori adulti è passato da 16,8 g/die (grammi al giorno) nel 2005 a 24,2 g/die nel 2018. Ma c’è differenza nell’apporto benefico del consumo di pesce, se è fresco o in scatola? Insomma, tonno in scatola versus tonno fresco: c'è differenza negli apporti nutritivi per la salute?
Tonno fresco contro quello in scatola
Sulla base di queste premesse, l'obiettivo principale dello studio pilota Effetti del pesce fresco versus quello in scatola (“Effect of fresh versus canned fish on red blood cell fatty acid composition and metabolic markers: a randomized, controlled, human intervention study) condotto da Bolton Food (uno dei principali player mondiali per la filiera del tonno e dunque produttore di quello in scatola) insieme al Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l'Ambiente (DeFENS) dell’Università degli Studi di Milano è stato: 1) esplorare l'impatto del consumo di prodotti ittici in scatola sui marcatori metabolici in una popolazione adulta sana e 2) confrontare l'impatto dell'assunzione di pesce in scatola e di pesce non in scatola sui marcatori della salute umana. L’analisi ha assegnato in maniera casuale a un campione di 148 adulti sani e non avvezzi al consumo di pesce, due diversi piani alimentari per un periodo di quattro mesi: uno di solo pesce fresco o congelato (3 porzioni a settimana), l’altro con l’inserimento anche di prodotti ittici in scatola (1 porzione pesce fresco e 2 in scatola).
Più pesce, più Omega-3
In generale, i risultati di questo studio non hanno evidenziato differenze sostanziali tra la dieta di solo pesce fresco e quella che comprendeva pesce in scatola, ma hanno invece confermato il contributo positivo di una adeguata assunzione di pesce nella dieta con un miglioramento dell'indice omega-3 per porzioni di pesce da 113 g due volte a settimana a 150 g al giorno, sia nel plasma che nel siero e negli RBC (ossia la conta dei globuli rossi). La novità sostanziale rilevata da questo studio, dunque, è che il pesce in scatola, per gli effetti benefici sulla salute umana, è paragonabile al consumo di pesce fresco rappresentando una valida alternativa nel raggiungimento delle porzioni di pesce settimanalmente raccomandate in una dieta sana, varia ed equilibrata.
I dati: 800mila decessi con diete povere di omega 3
In conclusione, i risultati presentati nel report sembrano suggerire che il pesce in scatola, insieme al pesce fresco, devono far parte di una dieta sana ed equilibrata per facilitare il raggiungimento delle raccomandazioni dietetiche di consumo di pesce nella popolazione ed assicurare quindi un mantenimento ottimale della salute e la riduzione del rischio di insorgenza di malattie croniche. Questo acquista particolare valore considerato che il consumo attuale è spesso inferiore a quello suggerito. Nel consumo di pesce la maggior parte degli effetti protettivi possono essere generalmente attribuiti al contenuto di omega-3, noti per esercitare effetti antinfiammatori e ipolipemizzanti (Jamioł-Milc et al. 2021), ossia in grado di abbassare i livelli dei lipidi, come il colesterolo, nel sangue. A questo proposito, lo studio Global Burden of Disease ha stimato che nel 2017 quasi 800.000 decessi potrebbero essere attribuiti al consumo di diete a basso contenuto di acidi grassi omega 3 provenienti dai frutti di mare (GBD 2017 Diet Collaborators, 2019). La possibilità di consumare il pesce in scatola, con maggiore facilità di approvvigionamento e conservazione, ad integrazione del pesce fresco può dunque facilitare il raggiungimento delle raccomandazioni dietetiche.
Il pesce riduce il rischio di infarto, e non solo
La dieta mediterranea e la dieta nordica, più ricche di pesce, sono state costantemente associate a un minor rischio di condizioni cardiometaboliche, neurodegenerative e al rischio di cancro. Nel report recente rilasciato da Bolton Food in cui sono riassunti gli studi scientifici condotti negli ultimi due anni in ambito alimentazione e Non-Communicable Diseases (NCDs) in partenariato con università italiane ed internazionali come il DeFens di Milano, la North-West University del Sudafrica, l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano, emerge un primo contributo dove si dimostra che il consumo di pesce nell’ordine di 2-3 porzioni (di circa 150 g per porzione) a settimana riduce il rischio di patologie cardiovascolari o di infarto del miocardio dell’8%, riducendolo fino al 30% se consumato ogni giorno (Ricci et al., 2023). Questo risultato va ad irrobustire altri studi che hanno trovato un’associazione tra un maggiore consumo di pesce e una diminuzione del rischio di diverse malattie, ad esempio sindrome coronarica acuta, cancro al fegato e depressione, problematiche molto permeanti la società attuale (Jurek et al. 2022). Questi risultati sono ulteriormente avvalorati da studi che mostrano come il consumo regolare di pesce fresco e pesce in scatola diminuisca significativamente il rischio di svariate tipologie di cancro (Franchi et al., 2022, D’avanzo et al, 2023). In ultimo, evidenze scientifiche suggeriscono che il consumo regolare di pesce giochi un ruolo fondamentale nel ridurre i rischi di declino delle capacità cognitive. Conoscenza quanto mai rilevante in una popolazione ad invecchiamento crescente. Inoltre, recentemente, è stata prestata anche attenzione agli oligopeptidi, molecole bioattive composte solo da pochi amminoacidi, e alla loro capacità di esercitare effetti diretti sul cervello, sulle attività antinfiammatorie e antiossidanti. Infine, il pesce fornisce preziosi nutrienti aggiuntivi come proteine ad alto valore biologico, vitamine liposolubili e vitamina D e minerali tra cui principalmente iodio e selenio spesso carenti nelle diete (VKM 2022).
Prodotti ittici: domanda in aumento
Oggi solo circa il 14% dell’apporto calorico mondiale arriva dai mari che, invece, ricoprono il 71% della superficie terrestre. Ma la domanda globale di prodotti ittici è in costante aumento, con proiezioni che indicano una crescita fino al 56% entro il 2050 a fronte dell’aumento e del costante invecchiamento della popolazione mondiale.
Fonte: Bolton Food. Gli studi citati sono tutti realizzati in partnership con la compagnia e quindi col coordinamento del ricercatore Alberto Dolci, Global Health & Science Programs Manager Bolton Food