Bere latte scremato riduce il rischio di ansia e depressione: ecco perché

Uno studio della Southern Medical University (Cina) ha monitorato oltre 357mila adulti per 13 anni. “Quello parzialmente scremato fornisce maggiore protezione cerebrale”

di Redazione Salus
7 gennaio 2025
Bere latte scremato diminuisce il rischio di ansia e depressione

Bere latte scremato diminuisce il rischio di ansia e depressione

Bere ogni giorno un goccio di latte parzialmente scremato potrebbe ridurre il rischio di depressione e ansia. A dirlo è uno studio cinese pubblicato sulla rivista Frontiers in Nutrition. E - secondo i ricercatori della Southern Medical University, che hanno monitorato oltre 357mila adulti per 13 anni - c’è una cattiva notizia per i vegani: chi beve alternative vegetali ai latticini, come il latte di soia o di avena, avrebbe maggiori probabilità di sviluppare ansia (+29%) o depressione (+16%).

La ricerca

I ricercatori cinesi della Southern Medical University hanno esaminato i dati di 357.568 persone di età compresa tra i 36 e i 73 anni, che sono state monitorate per oltre 13 anni. Durante quel periodo, 13.065 hanno ricevuto una diagnosi di depressione e 13.339 di ansia. Coloro che in genere bevevano latte parzialmente scremato avevano il 16% in meno di probabilità di ricevere una diagnosi di depressione rispetto a coloro che non bevevano latte. E bere latte parzialmente scremato è risultato associato a un rischio di ansia inferiore del 29%.

Ecco cosa succede nel cervello

Secondo i ricercatori, ci sarebbe qualcosa nell'equilibrio dei grassi nel latte parzialmente scremato che ha un effetto benefico sul cervello e che aumenta i livelli di serotonina e dopamina, chiamati infatti gli ormoni del benessere.

“Il profilo degli acidi grassi del latte parzialmente scremato - spiegano i ricercatori - potrebbe fornire una maggiore protezione cerebrale rispetto al latte intero e al latte scremato, riducendo così potenzialmente il rischio sia di depressione che di ansia". Questi risultati presentano "nuove prospettive per interventi dietetici", concludono i ricercatori.