La cura dell’uva, il detox naturale per ringiovanire

Il resveratrolo depura l’organismo dalle tossine, toglie l’infiammazione e rallenta l’invecchiamento

di CIRO VESTITA -
16 settembre 2024
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Uva, una meraviglia botanica e nutrizionale. Con la scoperta della penicillina, nel 1940 inizia l’era della moderna medicina. Fino a quel momento, tutte le cure avevano più o meno una base vegetale: i cataplasmi per curare le faringiti, gli infusi di cardo per le patologie epatiche, i suffumigi di salvia contro le bronchiti. Ma, in particolare, la regina di questi antichi presidi terapeutici era l’ampeloterapia, ovvero le cure a base di succo d’uva. Un termine poco noto la cui etimologia proviene dal greco “ampelos“, che significa grappolo. Il succo d’uva – la cui composizione è simile a quella del latte materno – è ricchissimo di antibiotici naturali ed è quindi adatto come coadiuvante terapeutico per qualsiasi patologia che abbia una base infettiva. Al tempo stesso è anche un ottimo energizzante, vista la ricchezza di vitamine e sali minerali che contiene ogni acino.

 

Bere al mattino un bicchiere di succo d’uva vuol dire diventare dei grilli nelle ore successive: più energia, migliore digestione e, soprattutto, grande pulizia del fegato e dei reni. Non solo. Recenti ricerche ci dicono che buone quantità di uva potenziano la flora batterica intestinale, considerata ormai il nostro esercito personale: questo perché, come accade per i cereali, il microbiota (l’insieme di microrganismi che vivono nel nostro organismo) si nutre di questi alimenti, arricchendosi e potenziandosi. Ma è una molecola chiamata resveratrolo – una sostanza che viene naturalmente prodotta da varie piante, come la vite, le more e il cacao, a scopo protettivo nei confronti di agenti patogeni come batteri o funghi – a stupire da anni il mondo medico.

 

Il resveratrolo è un grande antinfiammatorio e combatte egregiamente l’invecchiamento. Ma qual è l’uva migliore da scegliere per curarsi in modo naturale? Senz’altro l’uva nera, che ha una concentrazione maggiore di queste sostanze benefiche. Come al solito, l’antica saggezza popolare mostra i benefici nascosti del cibo che ogni giorno possiamo portare in tavola. Un tempo, durante le vendemmie, le raccoglitrici di uva sovente si ferivano con le forbici tagliando i grappoli. Quando accadeva, veniva subito fatto un impacco con uva schiacciata, il cui succo fermava l’emorragia, sterilizzando nel contempo la ferita. Consigliabile, in questo periodo, grandi quantità di uva, mangiarne a volontà. Con una raccomandazione: non buttiamo via i semini, chiamati vinaccioli, ma mastichiamoli lentamente e mangiamone tanti, sono ricchissimi di acidi grassi nobili anti colesterolo.

 

I benefici dell’uva si traducono poi in quella meraviglia botanica che è il vino. Poche quantità di vino a tavola forniscono resveratrolo, ma soprattutto donano gioia visto che permettono la liberazione da parte del cervello di endorfine, le molecole della felicità. Ma non tutto ciò che è naturale è benefico, anche i veleni più potenti hanno una base vegetale. Basti pensare alla ricina e al curaro.

 

Ecco una curiosità sui velenosi elisir. Nell’agosto del 1978, la spia bulgara Georgie Markov passeggiava soavemente con la moglie lungo le strade di Londra quando si accascia e muore. Tutti pensano a un infarto, invece si scoprì che un agente del KGB aveva ferito il suo polpaccio con la punta di un ombrello intriso con una dose infinitamente piccola di ricina. L’episodio, noto come “Ombrello bulgaro”, passò ai posteri. Ma non solo. William Shakespeare ci narra come lo zio di Amleto, mentre dormiva, sia stato avvelenato con delle gocce di giusquiamo messe nell’orecchio. Da queste storie è facile comprendere come il mondo vegetale nasconda potenti effetti, anche se assunti a piccole dosi.

 

Cavour e il vin brulè, quando la medicina fa storia

 

Caldo, zuccherino e speziato: ecco servito il vin brulè. Diffuso in molte zone del mondo, questa bevanda ha una storia molto antica. Il suo nome, in francese, significa “vino bruciato”. Ottenuto dalla bollitura di vino aromatizzato con le spezie – cannella, chiodi di garofano e altro ancora – è utilissimo per combattere le tante patologie virali che ogni giorno ci assediano. Ma ecco quel che sappiamo della sua storia. Pare che questo vino medicamentoso sia stato ideato da Cavour dopo una gita nel Chianti.

 

Tornato in Piemonte, creò con i suoi agronomi il Barolo e, nel contempo, dette ordine al suo farmacista di creare un vino medicamentoso, appunto il Vin Brulè, già noto due millenni prima agli Etruschi. Per chi guarda con incredulità a queste antiche terapie, è utile ricordare che ancora al giorno d’oggi sono alla base di tanti nuovi medicinali. Il farmaco principale per il cuore, ad esempio, è da sempre la “digossina”, estratta dal fiore della “digitalis purpurea”, una pianta ora in fioritura in tutta la Sardegna.