Indagine sui disturbi alimentari, tra pregiudizi e ostacoli alla cura. Il ruolo dei social sul cibo

Ecco i risultati dello studio di ‘Lilac - Centro Dca’. I risultati dimostrano che il tema dei problemi dell’alimentazione hanno radici profonde e serve un approccio multidisciplinare

di MARINA SANTIN
17 marzo 2025
Disturbi alimentari

Disturbi alimentari

Per affrontare i disturbi alimentari serve una strategia diversificata che affronti il problema su più fronti. Lo dimostra uno studio condotto da ‘Lilac - Centro Dca’, una startup formata da una rete di professionisti per il trattamento multidisciplinare di anoressia, bulimia, binge eating e altri disturbi della nutrizione. L’indagine esplora gli ostacoli all'accesso alle cure, le esperienze personali con il sistema sanitario e l'influenza dei contenuti online sui disturbi del comportamento alimentare (Dca).   

Il ruolo dei social sul rapporto col cibo   

Lo studio, che ha coinvolto oltre 600 giovani d’età media 30 anni, evidenzia, innanzitutto, il peso che i social media possono avere nella percezione e, soprattutto, dispercezione del proprio corpo rispetto alla realtà oggettiva. L’81% degli intervistati ha infatti dichiarato che hanno avuto un’ampia influenza sul rapporto tra cibo e corpo, e con più di 42 milioni di italiani registrati sui social media (71% popolazione, report Digital 2025 Italy), non sorprende che la loro azione sia determinante nel condizionare i comportamenti. Inoltre, mostra come alcuni contenuti social vengano ritenuti più dannosi in assoluto. In primis, le foto delle trasformazioni fisiche, le cosiddette “Before & After” (34%), seguite dai post che normalizzano le restrizioni estreme (24%) e dai “What I eat in a day” (17%), ovvero quei video selfie in cui viene mostrato il cibo mangiato durante il giorno descrivendo le pietanze ed entrando nel merito dell'apporto calorico o nutrizionale.

"È indubbio che i social media abbiano un impatto significativo sul rapporto con il cibo e il corpo, come evidenziato dai dati della nostra indagine”, commenta Giuseppe Magistrale, co-founder e ceo di Lilac-Centro Dca. “Tuttavia, è fondamentale ricordare che i disturbi alimentari sono patologie multifattoriali – continua – influenzate da una combinazione complessa di fattori biologici, psicologici e sociali. Ridurre tutto a una sola causa sarebbe fuorviante, ma è altrettanto vero che certi contenuti digitali possono alimentare vulnerabilità preesistenti e ostacolare il percorso di recupero”.  

I pregiudizi permangono: ma c’è di più  

Social a parte, dall’indagine emerge come ci sia ancora una grande difficoltà nel comprendere le problematiche delle persone che soffrono di Dca. Non è un caso, infatti, se alla domanda “le persone intorno a te comprendono il tuo disturbo alimentare?”, ben il 63% ha risposto in modo negativo. Ma non solo, ancora oggi una grande parte dei problemi legati ai disturbi del comportamento alimentare riguardano i pregiudizi che permangono nell’immaginario delle persone. In particolare l’espressione tipica "È solo una questione di volontà" è considerata quella in assoluto più ascoltata (40%), per poi passare ai classici come "è solo un capriccio" (12,5%) o "se vuoi guarire, basta mangiare di più" (11%).  

Gli ostacoli alla cura  

E se i pregiudizi sono sicuramente difficili da estirpare, anche trovare il giusto professionista sembra essere una questione alquanto problematica. Ben l’80% degli intervistati, infatti, ha riscontrato notevoli difficoltà nel trovare un operatore sanitario specializzato nel trattamento dei disturbi alimentari. “E come se non bastasse tutto questo - aggiunge Filippo Perotto, co-founder di Lilac-Centro Dca - una volta trovato il professionista a cui affidarsi, il 67% degli intervistati, si è sentito minimizzare il proprio disturbo, con affermazioni del calibro de “il tuo peso è nella norma, quindi non hai un problema” o “non sembra che tu abbia un disturbo alimentare”, ma anche “mangia di più e vedrai che ti passa”.

Questo dato è emblematico dell’importante bisogno di formazione specifica dei professionisti che si occupano di salute mentale e alimentare”. Dallo studio, poi, si evincono anche altri ostacoli nell’accesso alle cure: da un lato la paura di non essere "abbastanza malati" (26%), condizione che porta inevitabilmente molte persone a rimandare la ricerca di supporto, aggravando così le proprie condizioni, dall’altra i costi troppo elevati (19%) delle terapie.  

Le conclusioni dell’indagine

“Tutti questi risultati - specifica Magistrale - sottolineano l'urgente necessità di interventi su diversi fronti. Dal miglioramento della formazione e sensibilizzazione degli operatori sanitari, alle campagne di comunicazione mirate per ridurre stigma e pregiudizi legati ai disturbi alimentari e maggiore attenzione nella regolamentazione dei contenuti online che possano alimentare comportamenti disfunzionali o dannosi”.