Roma, 6 luglio 2024 – La madre della vittima che grida: "Dovevamo ucciderlo prima, mi farò giustizia da sola". La ex compagna dell’assassino che invece con pacatezza lo tiene al telefono, lo convince a costituirsi e in pratica lo consegna ai carabinieri. Due donne, due reazioni opposte di fronte a una tragedia che continua a ripetersi. Un genitore al quale viene strappato il bene più caro può arrivare a dire certe cose: annientare il nemico con le proprie mani, perché alla fine la giustizia non consola. Una donna che ha cercato di mettere tempo e distanza fra sé e l’uomo amato nel passato, poi addirittura denunciato per maltrattamenti, in teoria avrebbe almeno il diritto di non rispondere se lui la chiama dopo anni perché ha ucciso, chiedendo aiuto.
La morte di Manuela Petrangeli, uccisa a fucilate da Gianluca Molinaro, svela il sentire ambiguo di fronte all’ennesimo femminicidio, l’oscillare collettivo fra la legge del taglione e la lucidità che a forza di spaventi ci fa crescere. Siamo tutti un po’ Patrizia Petrangeli, devastata dalla morte della figlia, travolta dal dolore rabbioso e dal bisogno di vendetta. E vorremmo essere Debora Notari, avere la sua consapevolezza che malgrado le apparenze questo non è il vecchio West e da sole non si arriva da nessuna parte. Manuela, fisioterapista di 50 anni, è stata uccisa con due colpi di fucile sparati dalla Smart dall’ex compagno Gianluca, andato a costituirsi subito dopo. E forse il killer avrebbe preso un’altra strada, imprevedibile, se Debora non lo avesse convinto che la giusta da fare era andare in caserma.
Mette i brividi il furore di Patrizia, la mamma, che forse aveva già capito come si stavano mettendo le cose, aveva paura per la sua bambina e adesso come minimo vuole renderle giustizia. Altrettanto abbagliante è l’atteggiamento di Debora, che come lo psicologo più astuto di una crime story resta in linea per un tempo infinito con l’uomo che le ha confessato di essere un assassino. Ci ha fatto una figlia anche lei. Ha appena saputo che un’altra madre non c’è più per colpa sua, il disgraziato con dietro una scia di atti persecutori e stalking. Quello che la picchiava e che fece arrestare per poi essere contenta, in fondo, di saperlo di nuovo in equilibrio dopo un paio di mesi di carcere. Dopo il delitto, fra tutti i numeri che aveva in rubrica, Molinaro sceglie il suo. "Voleva uccidersi. Gli ho detto di andare dai carabinieri. Potevo esserci io al posto di quella donna".
La giustizia, che si compie nelle sedi giuste mettendo da parte il rancore personale. E l’empatia, per tutte le donne uccise dagli uomini. Qualcosa abbiamo imparato dopo anni passati a nasconderci, a vergognarci, a nutrire la paura e il senso di colpa: "Mi ha telefonato, siamo rimasti in linea per 40 minuti – ha raccontato Debora Notari –. Ha confessato quello che aveva fatto e gli ho detto che doveva costituirsi. Non lo sentivo da anni. Non ho chiuso la chiamata fino a quando non mi ha passato un carabiniere".
Dalle finestre delle case popolari di Primavalle Patrizia Petrangeli grida la sua versione del dolore e non fa sconti: "Sia maledetto da Dio, bastardo, bestia. Lo facciamo a pezzi, non merita nemmeno un processo". E ci sta. Manuela fino al giorno prima giocava in quel cortile con il figlio, sognava le ferie. L’infermiera di tutti, l’angelo del quartiere. Debora avrebbe potuto essere al posto suo, ma rimane lucida: un giorno lo aveva denunciato per il male che le aveva fatto, adesso spezza la catena della violenza accompagnandolo a destinazione come la voce amica nel cuore della notte. "Era ubriaco", dice. Ma non è più un suo problema. Il problema adesso è "come dire a nostra figlia che ha un padre assassino".