Roma, 7 febbraio 2022 - C'era il nome delle donne che avevano abortito sulle croci dei feti al cimitero Flaminio. Un fatto sconvolgente per chiunque legga il proprio nome sopra un luogo di sepoltura. E se i morti non godono di privacy, i vivi dovrebbero, almeno in teoria. Eppure il gip di Roma ha archiviato l'inchiesta sul caso dei feti sepolti nel cimitero romano senza che le donne ne venissero informate e con i loro apposti sulla croce, parlando solo di "prassi erronea".
''Il quadro probatorio riscontrato mostra che il fatto in contestazione non sia stato mosso da alcuna finalità di profitto, bensì risulti semplicemente quale conseguenza di un'erronea prassi posta in essere ab initio dalla struttura sanitaria in cui è avvenuta la procedura di aborto''.
Violazione della legge 194 sull'aborto e della legge sulla privacy
É quanto si legge nell'ordinanza del gip di Roma che ha archiviato la scorsa settimana l'inchiesta relativa alla vicenda dei feti sepolti al cimitero Flaminio dove sulle piccole sepolture erano presenti anche le generalità delle donne che avevano interrotto la gravidanza. Sul caso l'associazione DifferenzaDonna aveva presentato nei mesi scorsi un esposto a piazzale Clodio che ha portato all'apertura di un fascicolo con due indagati in cui si ipotizzavano i reati di violazione della legge sull'aborto e sulla diffusione dei dati personali. Lo scorso aprile però la stessa Procura, con il procuratore aggiunto Angelantonio Racanelli e la pm Claudia Alberti, aveva chiesto l'archiviazione dell'inchiesta, accolta dal gip.
Dal nome della donna al codice alfanumerico
''Come evidenziato dal pubblico ministero, la carenza normativa riscontrata in tale ambito che ha portato a questo 'uso' dell'apposizione dei nomi delle donne al fine di identificazione dei feti - scrive il gip rigettando la proposta di opposizione all'archiviazione - ha successivamente comportato un celere intervento, dietro impulso dell'Autorità garante per la Privacy, del Comune di Roma, Dipartimento tutela ambientale, al fine di modificare il Regolamento di Polizia cimiteriale nonché i protocolli riguardanti il trattamento dei dati personali nei cimiteri di Roma Capitale, indicando apposite istruzioni operative per rimuovere tale violazione, nonché nuove istruzioni in merito ai nuovi trattamenti, prevedendo per l'identificazione del feto unicamente un codice alfanumerico''. ''Alcun nocumento intenzionalmente voluto - conclude il giudice - al fine di trarre a sé o ad altri ingiusto profitto risulta emerso nell'illecita diffusione ei dati sensibili e nella violazione della riservatezza delle donne che hanno avuto accesso alla pratica di interruzione della gravidanza''.
Il documentario di Al Jazeera
Invano l'associazione Differenza Donna aveva presentato opposizione all'archiviazione, chiedendo un supplemento d'indagine. Anche Al Jazeera english ha da poco mandato in onda l'inchiesta 'Italy's foetus graveyard' per la regia di Flavia Cappellini, facendo del cimitero dei feti a Roma un caso internazionale, che punta al 'colpire' le donne che hanno abortito e a cui dovrebbe essere garantita la privacy. La vicenda ha inizio nel 2020 quando Francesca Tolino dopo un aborto scopre che nel cimitero Flaminio di Roma era stato sepolto a sua insaputa il feto sotto una croce con il suo nome. Nonostante lo scandalo mediatico di allora non ci furono provvedimenti.