Francesco Ghidetti
NIENTE
da fare. Da dopodomani «l’Unità» chiude. Addio al giornale fondato nel 1924, 90 anni fa, da Antonio Gramsci. Il direttore Luca Landò attacca il Pd: «Sorprendente che non sia riuscito a trovare una soluzione: avrebbe potuto appoggiare almeno il progetto di Fago». Già, Fago. Uno dei possibili salvatori. Lo stesso Landò lo aveva detto il 27 luglio: «Le offerte sul tavolo per salvare il giornale sono ‘quasi’ tre: Fago, Pessina e Santanchè». La terza decisamente sfavorita per le sue (notissime) simpatie di destra. Il primo il più gradito. Il secondo così così. Fatto sta che ieri i liquidatori della società editrice del giornale, hanno dato il ferale annuncio (che vale anche per l’on line). Lo scontro con il Pd è fondamentale per capire l’intera vicenda. Anche perché le parole del segretario Matteo Renzi all’Assemblea nazionale erano parse chiarissime: «Dobbiamo avere il coraggio di non cancellare le tradizioni. Abbiamo bisogno di ripartire. Dobbiamo tutelare un brand: dobbiamo tornare a chiamare le nostre feste, feste dell’Unità». E giù applausi stile Comitato Centrale del Pci. Applausi quasi ritmati. Però, non tutti erano rimasti pienamente soddisfatti. Quella parola («brand») aveva fatto sorgere il sospetto che ci fosse un interesse più al nome che al contenuto.

POI,

nei giorni scorsi in molti avevano urlato «giammai!» all’ipotesi-Santanchè. Ora, in moltissimi danno la loro «solidarietà» (e immaginiamo il sollievo per gli ottanta più indotto che restano senza lavoro): dallo sfidante di Renzi, il dalemiano (ne esistono ancora?) Cuperlo a Fassina all’ex segretario Bersani. Il quale — modernamente — ‘twitta’: «L’Unità deve vivere. È una voce che nessuno ha mai zittito». L’ex leader si è dimenticato che il giornale ha già chiuso. Negli anni duemila per ragioni economiche, tempo prima politiche (al comando della nave Italia c’era sua Eccellenza il Cavalier Benito Mussolini). Del resto, che le cose avessero preso una piega drammatica lo si era visto dalle prime, furbissime, decisioni: chiusure delle cronache emiliane e toscane, dove l’ex ‘organo’ vendeva il 42% di copie. Sarà un caso, ma quando c’è di mezzo qualcosa che discende «da li rami comunisti» si consuma la fine della stampa. Come non ricordare l’Ora, Paese sera, Rinascita o Videouno? Chissà, forse aveva ragione il fondatore: «Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Dovrà essere un giornale di sinistra», disse Gramsci. Poco dopo l’intellettuale sardo finì in galera. Qualcuno azzardò: il Partito si dimenticò di lui. Ma erano sicuramente malignità.