Gabriele Moroni
MOTTA VISCONTI (Milano)
«VOGLIO il massimo della pena». Carlo Lissi china il capo e la sua, più che una confessione, è un fiume in piena, inarrestabile. Un fiume gonfio di orrore. L’informatico di Motta Visconti ha sterminato la sua famiglia, la moglie Maria Cristina Omes, i loro bambini, Giulia che in agosto avrebbe compiuto cinque anni, e Gabriele di 20 mesi. Li considerava un ostacolo fra sé e il suo essersi invaghito, di una collega della società di software di Assago dove lavorava: non corrisposto, dissuaso, respinto, non demordeva. Un movente assurdo, incredibile. Gli investigatori sono risaliti alla giovane donna dalla pagina Facebook dell’assassino. Davanti alla contestazione precisa di quell’innamoramento, l’assassino ha capitolato.
DOPO avere massacrato la moglie, incurante delle sue invocazioni, l’ha lasciata morire per dissanguamento. Per i due bambini, un solo colpo di coltello alla gola. Ha simulato una rapina lasciando la cassaforte aperta e asportando il poco denaro e i gioielli che vi erano riposti. Dopo essersi lavato e rivestito, è uscito in auto per raggiungere la casa dell’amico C.C., dove un gruppo di una quindicina di persone si era dato appuntamento per la partita Italia-Inghilterra. Prima però si è fermato in via Mazzini e ha gettato in un tombino il coltello usato per massacrare la sua famiglia. Quando è rentrato ha chiesto aiuto ai vicini affacciandosi alla porta, ha telefonato al 113. Gridava «Sono venuti a rubare», si abbandonava a scene di disperazione. I soccorritori erano costretti a trattenerlo. Ultimo atto della sua fredda, incredibile messinscena.
LA SERATA di sabato scorre tranquilla nel villino monofamiliare al numero 20 di via Ungaretti. Sul divano del salotto, i coniugi si abbandonano a quello che sarà il loro ultimo atto d’amore. Carlo Lissi esce e raggiunge la cucina in slip. Il marito rientra, è alle sua spalle. Un colpo alla giugulare della donna. Poi dietro il collo e ancora all’addome. «No, perché?», grida Cristina, incredula, atterrita. Il suo «aiuto» viene raccolto dalla vicina Anna Buratti, nella cucina di casa. Sono le 22.50. Cristina tenta una reazione di difesa, di fuga. Il marito le sferra un pugno. La donna finisce a terra nell’androne dell’ingresso. Maria Cristina Omes muore dissanguata. Carlo Lissi sale dai suoi figli. Nella sua cameretta, Giulia è la prima a passare dal sonno alla morte. Gabriele viene ucciso mentre dorme nel letto matrimoniale. Carlo Lissi scende in cantina. Una doccia lo ripulisce del sangue.
Lissi racconta ai carabinieri di essere rincasato dopo la partita e di essersi spogliato nel garage per non disturbare i bambini. È salito in casa. Ha trovato il corpo martoriato della moglie, riversa in un lago di sangue. Ha aperto la porta invocando aiuto. Preso da un sospetto angoscioso, ha salito le scale, acceso le luci, apero porte. Si è accorto che anche i bambini erano stati uccisi. Si è rivestito e ha chiamato il 112.
Un racconto con troppe incogruenze. Lissi dice di essersi avvicinato alla moglie, immersa nel suo sangue, di averla toccata. Ma i suoi vestiti e la pantofole erano immacolati. Sul dietro degli slip, l’unico indumento che portava quando ha accoltellato la moglie, è invece rimasta una macchia di sangue di cui Lissi non si era accorto. Dopo avere scoperto che la sua famiglia era stata sterminata, Lissi ha avuto la forza e la freddezza per rivestirsi. Non c’è sangue sulle maniglie delle porte, sugli interruttori, sulla cassaforte.
NON CI SONO effrazioni sulla porta d’ingresso e sulla casssaforte di cui solo marito e moglie conoscevano la combinazione. I portagioie sono stati aperti ordinatamente e il loro contenuto asportato. Gli armadi nella camerette dei bambini sono stati squadernati, mentre sono stati risparmiati locali dove si sarebbe potuto trovare qualche bottino. Un portafoglio non stato toccato. Davanti ai carabinieri, al procuratore Gustavo Cioppa e al pm Giovanni Benelli, Carlo Lissi si arrocca nella sua difesa. Ma quando gli mettono di fronte le prove di quell’amore non ricambiato, cede di schianto, confessa, fa ritrovare il coltello. Tranquillo, lineare. Come se la strage della sua famiglia riguardasse un altro.
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