Von der Leyen 2, Europa in pezzi. Dice un po’ questo il voto del Parlamento di Bruxelles alla seconda Commissione guidata dall’esponente popolare tedesca di ascendenze aristocratiche. "Today is a good day for Europe", si congratula lei dopo il risultato. Ma il secondo gabinetto di Ursula von der Leyen raccoglie solo 370 voti a favore, con 282 contrari, 36 astensioni e 32 non partecipanti. Il meno votato di sempre. Ben 31 voti in meno rispetto ai 401 che a luglio avevano dato l’investitura al bis. Il che significa in realtà 64 defezioni dalla precedente maggioranza, dal momento che – rispetto alla coalizione formata da popolari, socialisti e liberali, cui si erano aggregati i verdi – ieri si sono aggiunti 33 voti dai conservatori di Ecr guidati da Fratelli d’Italia. Ma soprattutto è la segmentazione su base nazionale che ha frantumato i gruppi di S&D e Verdi a sancire lo stato di crisi dell’Unione.
DRAGHIANI,
MA SENZA DEBITO
Non è come nel 1914, quando i partiti socialisti votano i crediti di guerra rinnegando il pacifismo internazionalista e precipitando la gioventù europea nelle trincee della Prima guerra mondiale. Ma è emblematico che a dividersi siano proprio verdi e socialisti, che si vorrebbero irriducibili europeisti. Divisioni dovute proprio all’intreccio tra le vicissitudini politiche europee e quelle nazionali. Cosicché i verdi tedeschi scelgono di sostenere la Commissione, dopo la nomina dell’ex capogruppo Philippe Lamberts a consigliere speciale della presidente per le questioni ecologiche; mentre i socialisti dell’Spd preferiscono astenersi in vista del prossimo duello coi popolari alle politiche di febbraio, dove peraltro si punta alla grande coalizione per arginare l’ultradestra di AfD. Contro cui non a caso il leader del Ppe Manfred Weber proclama la prossima sfida politica europea, associandoli anche alla destra sovranista guidata dal terzetto trumpiano composto dall’ungherese Viktor Orban, la francese Marine Le Pen e l’taliano Matteo Salvini.Vero è che "bastava un voto" a von der Leyen per compiacersi "che il centro tiene". Dopodiché la Commissione è investita per 5 anni e la partita politica si sposta in Consiglio, dove il Ppe governa 13 Paesi su 27, e nelle votazioni parlamentari sui singoli dossier, dove il centro popolar-liberale conta di manovrare alleanze variabili a seconda dei singoli dossier: guardando alla destra conservatrice per quel che riguarda contrasto alle migrazioni e difesa e agli eco-socialisti per quel che resta di un Green deal al rallentatore. Nel segno della "bussola della competitività" indicata da Mario Draghi per ridurre il divario di innovazione con Usa e Cina, la decarbonizzazione e la competitività, l’aumento della sicurezza e la riduzione delle dipendenze. Salvo che Draghi sostiene l’esigenza di 800 miliardi l’anno di investimenti da finanziare col debito comune, concetto invece bandito dalla presidente e tutto il collegio von der Leyen. "Sfide cruciali, diamo prova di unità", per il vicepresidente esecutivo italiano Raffaele Fitto.
EUROPA IN FRANTUMI
Nel voto alla Commissione tengono soprattutto popolari e liberali. Nelle file del Ppe si registrano 25 defezioni: i 21 spagnoli e i 4 sloveni, in polemica con le rispettive commissarie nazionali; astenuti invece i 2 romeni. Dissensi pronti a rientrare su tematiche generali, salvo l’avversione degli spagnoli sulle questioni ambientali, che in Parlamento potrebbero essere compensate dai verdi. Dai socialisti di S&D von der Leyen incassa solo 90 voti sui 133 presenti. I 25 contrari e 18 astenuti sono tutti i francesi e i belgi, oltre a gran parte dei tedeschi e altri singoli sparsi, come gli indipendenti italiani Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Anche i Verdi si spaccano in due, con 27 eurodeputati a favore, 19 contrari – tra cui gli italiani Cristina Guarda, Leoluca Orlando, Ignazio Marino – e 6 astenuti. Più compatti i liberali di Renew, dove solo 6 belgi e irlandesi si sono astenuti rispetto ai 73 presenti. Trainati dai 24 sì di FdI, i conservatori hanno portato 33 voti alla presidente, compresi belgi, cechi, lituani, lettoni e fiamminghi. Capitanata dai 20 polacchi del Pis, la maggioranza del gruppo ha invece votato 39 no a von der Leyen. Tutti gli altri hanno votato contro: 43 voti della sinistra di The Left, 84 della galassia sovranista, tra cui i leghisti indifferenti alla presenza di Fitto, 23 dell’ultradestra capeggiata da AfD.